Quella campana rubata dal Vate che il Vittoriale non può restituire

San Polo, chiesetta. Nel cuore del quartiere più orientale di Monfalcone, a due passi – letteralmente – dall’ospedale, si è consumato per gli storici un furto sacrilego. Un secolo fa, sulle ceneri del primo immane conflitto i legionari, da Ronchi diretti a Fiume, toccano Monfalcone e si appropriano (ma c’è chi non esita a parlare di “rapimento”) di una campanella. Il trofeo di 25 centimetri è custodito, nell’estate 1919, sul frontone della chiesa, un esile monofora campanaria. Da lì, nella prima decade di settembre, scompare. Per riapparire poi da tutt’altra parte.
E qui, gli storici, si dividono: secondo la versione tradizionale l’oggetto trafugato è quella stessa campanella appesa ancora oggi alla prua della nave Puglia, il più suggestivo dei cimeli del Vittoriale. In un altro scenario, fatto proprio dallo studioso locale Vittorio Alberto Spanghero, di Turriaco, sarebbe invece all’interno della Prioria, l’ultima dimora di Gabriele D’Annunzio, nella stanza del Lebbroso, su un mobile sovrastato dalle fotografie di Eleonora Duse, della madre Teresa e della sorella del Vate, Elvira.
Ha ragione Spanghero. E la conferma è arrivata ieri sera, ad appena un paio d’ore di distanza dal quesito, da Giordano Bruno Guerri, studioso del Ventesimo secolo, direttore del Vittoriale degli italiani, già ospite a Monfalcone nel centenario dell’impresa fiumana: «La campanella è effettivamente nella stanza del Lebbroso». E come tutti gli oggetti custoditi a Gardone Riviera «è inalienabile». «Non sono miei – puntualizza lo storico e saggista –, ma dello Stato. Racconto un aneddoto: i legionari, il 4 novembre 1919, tagliarono la testa dell’aquila sulla torre comunale di Fiume. L’oggetto diversi anni dopo fu trovato murato all’interno del cortiletto degli Schiavoni. Il sindaco croato lo reclamò. Niente da fare: è un bene dello Stato italiano».
Lo sancisce anche il recente caso del Soffio di Satana, l’Alfa Romeo color sangue di D’Annunzio tornata al Vittoriale dopo essere ricomparsa, nel 2017, in uno dei lotti di punta di un’asta di auto classiche. Mezzo milione di euro il prezzo di base. Ma un’azione della magistratura riconosce il fiammante Soffio di Satana come un bene inalienabile del Vittoriale, disponendone il sequestro e il ritorno a casa. Così il veicolo entra al museo, assieme alle sue “sorelle”.
Ma come mai la storia della campanella di San Polo diventa di attualità? Presto detto: il consigliere dem Fabio Delbello ha presentato una mozione, a seguito delle celebrazioni sul centenario dell’impresa fiumana, reclamando la restituzione del prezioso oggetto. «Più volte i cultori di storia locale Silvio Domini e monsignor Bartolomeo Bertotti, nonché svariati “vecchi” monfalconesi – spiega –, hanno sognato di poter riportare la campanella a San Polo: ora, dopo il centenario e la venuta a Monfalcone di Bruno Guerri, dal 2008 presidente della Fondazione Vittoriale degli italiani, è arrivata l’ora per il Comune di reclamare la restituzione della campana inopinatamente tolta in un’evidente situazione di bagarre e disordine istituzionalizzato». Di qui la mozione, in cui «il Consiglio chiede al sindaco di adoperarsi in tutti i modi affinché la campanella di San Polo, tolta nella prima decade di settembre 1919, possa tornare 100 anni dopo nella sua secolare collocazione». «Il Vittoriale – conclude Delbello – non avrebbe quasi nulla da perdere, Monfalcone e la parrocchia dei Santi Nicolò e Paolo riavrebbero un piccolo, ma significativo cimelio storico e identitario, come tanto piace ai cultori di storia locale». La chiesa di San Polo, una cappella privata dedicata a San Giuseppe, fu costruita nella prima metà del ’600 all’interno del borgo. Era di proprietà della famiglia de Pini o Pin e dipendeva dalla parrocchia di San Lorenzo martire di Ronchi. L’edificio, ad aula unica, divenne nel tempo a uso pubblico. La torre campanaria, con cella a quattro bifore, è di epoca successiva e reca sull’architrave della porta l’iscrizione “Divi Pauli muno acegeni labore”, cioè “A San Paolo con il denaro e il lavoro della povera gente”.
Gli scambi tra Vittoriale e istituzioni, comunque, non rappresentano una chimera. Nel 1925 Gorizia donò al Vate lo stemma della città, staccandolo dal municipio. Ancora oggi si trova al cortile degli Schiavoni. «Un dono – rimarca Bruno Guerri –. Dopo una visita ho promesso all’assessore alla Cultura del Comune che gli avrei fatto un calco. E presto, a spese del Vittoriale, la città potrà riavere la copia dello stemma». Ma il calco della campana, onestamente, sembra impresa ardua anche a Bruno Guerri. –
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