Qui, dove prima di tutto si legge (e si nuota). Malinconia e libertà insieme, alla perfezione
L'attrice Elena Radonicich ha vissuto a lungo a Trieste per "La porta rossa" e ha appena aperto la stagione dello Stabile. "Delle trame dei libri non ricordo quasi niente, mentre ricordo il sublime della lingua e le invenzioni"

Elena Radonicich
Le prime letture di Elena Radonicich profumano di bruma invernale e legna che brucia nel camino. «Durante l’età delle scuole elementari e medie ho vissuto in due paesini dell’astigiano e del Monferrato, Antignano e San Martino Alfieri, che fanno un migliaio di abitanti ciascuno e dove la solitudine regna sovrana: i libri sono stati dei grandi compagni nei pomeriggi invernali piemontesi», racconta l’attrice. «La mia prima casa di famiglia era una cascina molto confortevole e c’era una stanza dedicata alla lettura, con una poltrona di pelle verde di fronte al camino e una lampada sopra. Lì ho letto Roald Dahl, Bianca Pitzorno, Susanna Tamaro, “Vampiretto” di Angela Sommer Bodenburg, “Indiana Jones”, “Piccole donne”, “Il giardino segreto” di Frances Hodgson Burnett, “Ventimila leghe sotto i mari”. E poi tanti fumetti».
Allora Elena ancora non sapeva che le donne nate dalla penna di tanti grandi autori, da Shakespeare a Čechov, le avrebbe interpretate a teatro, né che sarebbe diventata attrice. «L’amore per il cinema e il teatro è venuto molto dopo», dice. Radonicich ha un legame speciale con Trieste: ci ha vissuto a lungo per le riprese delle due stagioni della serie tv “La porta rossa”, nella quale interpreta la poliziotta Stella Mariani, e sul palco è la protagonista della nuova produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, “L’onore perduto di Katharina Blum”, tratto dal romanzo di Heinrich Böll, che lo scorso ottobre ha aperto la stagione dello Stabile regionale. «Trieste è una città nella quale leggere sembra l’attività principale che uno debba fare, oltre a nuotare», sorride l’attrice. «Trieste è una crasi perfetta di malinconia e libertà, due sentimenti fondanti della letteratura».
Elena, quando ha iniziato a leggere?
«Ho cominciato da sola con uno strumento elettronico per bambini che si chiamava Grillo Parlante: mia madre se n’è accorta su un traghetto per la Corsica, stavo leggendo Topolino a 4 anni. Alle scuole elementari ero molto precoce nella lettura: allora ero figlia unica e abitavo in campagna: i libri mi hanno tenuto molta compagnia».
E sono rimasti importanti?
«Sì, sono una zona di conforto e comprensione del mondo che mi ha sempre dato l’impressione di essere cosciente del passato e del futuro che mi aspettava, in un sentimento di consolazione. Quando torno alla lettura dopo lunghi periodi la sensazione è di tornare in un luogo protetto e confortevole dove si sono sviluppati la mia immaginazione e il mio amore per il linguaggio. La letteratura è l’arte alla quale mi sono avvicinata per prima, insieme alla musica. Il cinema e il teatro sono venuti molto dopo».
Qual è una lettura che l’ha segnata particolarmente?
«”I ragazzi della via Pál” di Ferenc Molnár: lo lessi da ragazzina in campeggio e mi lasciò senza fiato per il timore di quella miseria che poteva colpire le persone giovani e piene di speranze come mi sentivo io».
Cosa la colpisce in un libro?
«Delle trame non ricordo quasi niente, mentre ricordo soprattutto il sublime della lingua, lo stile, il complesso di ricordi e invenzioni che una lettura mette in atto. Mi resta quello che un libro produce in me anche in altri ambiti. Del resto è il modo in cui mi muovo in generale nel mondo, raccogliendo impressioni che fanno bagaglio: forse ho fatto l’attrice proprio per immagazzinarle».
Quando entra in personaggi letterari, come nel caso di Katharina Blum, legge molto dell’autore dal quale provengono?
«Di solito no. Di Heinrich Böll avevo letto anni fa “Opinioni di un clown”, ma non faccio parte della categoria di persone che, se deve partire per il Brasile, legge tutto sul Brasile. Per i miei personaggi cerco stimoli altri, anzi ho quasi un istinto di andare altrove. Cerco spunti nella vita reale, tra le persone che conosco».
Quali libri ha ora sul comodino?
«Sto leggendo “L’ultima intervista” di Eshkol Nevo, del quale avevo già letto “Nostalgia” e “Tre piani”: mi piace molto. Poi ho l’ultimo libro di Elena Ferrante perché ho amato “L’amica geniale”, “Le donne” di Franca Valeri, le poesie di Patrizia Cavalli e “La trama del matrimonio” di Jeffrey Eugenides».
Come sceglie le sue letture?
«Parlando con persone che stimo, qualche volta leggendo qualche recensione. Poi ho un’amica molto cara, la scrittrice Elena Stancanelli, che mi conosce bene e nell’arco degli anni mi ha indicato una serie di letture interessanti. Leggo soprattutto letteratura contemporanea, ma oggi abbiamo poco tempo: se sbagli un libro sei fritto per un po’, bisogna cercare con precisione libri che rispondano ai propri criteri di interesse e bellezza».
È una lettrice di carta o in digitale?
«Di carta. Leggendo il “kindle” mi sembra di non fare un’esperienza reale, mentre anche i libri sono corpi. Me li porto appresso perché li sottolineo, e poi perché hanno una loro vita, assorbono odori, sporcizia e sentimenti, quindi ci finiscono dentro un sacco di cose, è un po’ come aprire una lettera. Adoro riprendere in mano i libri e ricordarmi di cosa mi è capitato mentre li leggevo. Il libro è l’unica cosa di cui sono gelosa: è una delle poche forme di possessività che comprendo. È un feticcio al quale non intendo rinunciare».
Cos’ha letto durante i mesi passati a Trieste per le riprese de “La porta rossa”?
«È stato un periodo in cui lavoravo tantissimo, con poco spazio per la lettura. Ma ricordo di aver letto in quei mesi triestini “L’anno del pensiero magico” di Joan Didion, “Quel che resta del giorno”, che ho comprato in una bancarella proprio a Trieste, e “Non lasciarmi” di Kazuo Ishiguro, che mi hanno sconvolto, “Parlarne tra amici” e “Persone normali” di Sally Rooney. Ho finalmente abbandonato l’inquietudine di non finire un libro: se non mi convince, non sento la fastidiosa sensazione di doverlo finire per dovere. Del resto la letteratura risente dei nostri umori: da ragazzina ho iniziato “Cent’anni di solitudine” per tre volte prima di leggerlo tutto, forse non era il momento giusto». —
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