Richiedenti asilo ortolani per i poveri

I prodotti coltivati negli orti sociali di Gradisca messi a disposizione delle mense della Caritas e dei frati cappuccini
Di Luigi Murciano

GRADISCA. Richiedenti asilo-ortolani a Gradisca, continua ad evolversi il progetto Orti di Pace. Già nel 2012 nella cittadina isontina era stato impiantato un piccolo orto, appena due aiuole, con l'aiuto delle ospiti del Cara nel cortile dell'ex scuola elementare di via Udine, concesso in uso dal Comune e gestito dalla Caritas diocesana di Gorizia. L'esperimento aveva dato buoni risultati ed è quindi stato riproposto negli anni successivi, ampliandosi e trovando spazi più consoni sempre sul territorio comunale. Nel 2016 ha raggiunto il quinto anno di attività. Ora "l'orto di pace" occupa poco meno di mille metri quadri, è recintato e dotato di una casetta per riporre gli attrezzi, a breve sarà anche dotato di un pozzo per l'irrigazione che attualmente viene garantita tramite due cisterne. Nell'attesa che le particelle che lo compongono vengano affidate ai cittadini per creare un vero e proprio orto sociale, 400 metri quadrati sono stati coltivati da un gruppo di richiedenti asilo grazie ad un progetto di integrazione promosso dal Comune e gestito da Caritas «con ottimi risultati in termini produttivi ma soprattutto umani» spiegano la curatrice Simona Frigerio e Valentina Busatta, referente della Caritas diocesana. Durante le mattine di attività nell'orto (due ore due volte a settimana) i migranti hanno potuto anche fare pratica di lingua italiana e di regole di buona educazione, dalla richiesta cortese degli attrezzi all'uso dei sacchi per depositare le immondizie prodotte, mentre si apprendevano le basi dell'orticoltura per chi ne fosse a digiuno e si scambiavano informazioni sui metodi di coltivazione con chi aveva avuto un orto a casa propria o addirittura era stato agricoltore. «Spesso - spiegano le curatrici - abbiamo ricevuto la visita di qualche cittadino incuriosito dall'attività, il più delle volte recante una merenda, sempre assai gradita nella pausa dell'attività e occasione ulteriore per stringere rapporti interpersonali con i residenti». L'orto è stato condotto in maniera assolutamente biologica senza far uso di alcun tipo di antiparassitari e questo ha permesso di insegnare ai migranti il rispetto per l'ambiente circostante. Ogni ortaggio e lavorazione è stato veicolo delle usanze tipiche del nostro Paese in materia di coltivazione e alimentazione. Il gruppo di partecipanti è sempre stato costituito da più di trenta ospiti di varia nazionalità «tutti desiderosi di lavorare - raccontano Frigerio e Busatta - e dare attraverso la coltivazione un senso e forse anche un piccolo scopo a quel periodo sospeso che è l'attesa di risposta alla domanda di asilo».

Nonostante il clima piuttosto bizzarro i risultati non sono tardati, cominciando dalle fragole, per passare poi a pomodori, zucchine, cetrioli, patate, cipolle, peperoni e melanzane oltre ad angurie e meloni. Dopo l'estate gli ortolani si sono dedicati anche alle colture invernali e nonostante le gelate precoci di novembre abbiamo raccolto finocchi e porri, verzotti e cavoli cappucci. Non sono neppure mancati i fiori: bellissime begonie hanno contornato alcuni spazi fino ai primi freddi mentre una meravigliosa fioritura di cosmee ha rallegrato un'aiuola a forma di cuore che i ragazzi hanno realizzato come simbolo di gratitudine verso la cittadina che li ospita. «Un aspetto da sottolineare - concludono significativamente Busatta e Frigerio - è che il raccolto dell'orto è stato destinato in gran parte alle famiglie bisognose della provincia, attraverso l'emporio della solidarietà di Gorizia e Monfalcone e attraverso la mensa dei frati cappuccini di Gorizia, cui venivano consegnate le verdure appena raccolte. La consapevolezza di poter essere utile a qualcun altro alimenta la speranza di riacquistare la propria dignità di persona, aiuta nella ricerca di una vita normale e decorosa affrancandosi dall'equazione che troppo spesso si sente ripetere per cui ogni straniero è un sicuramente un mascalzone».

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