Schianto contro il guardrail della Gvt Il padre di Cristina: «Vogliamo la verità»

Dopo l’assoluzione degli 8 funzionari di Anas e Provincia, la famiglia della 21enne preparerà una causa civile contro gli enti
Lasorte Trieste 21/02/11 - Carabinieri, Incidente Banne Trebiciano
Lasorte Trieste 21/02/11 - Carabinieri, Incidente Banne Trebiciano



È destinata a non chiudersi qui la vicenda processuale sulla morte della ventunenne Cristina Angeli, deceduta a Trebiciano la sera del 21 febbraio 2011 in uno schianto contro un guardrail all’imbocco della grande viabilità. Dopo la sentenza di assoluzione in primo grado pronunciata l’altro ieri dal giudice Enzo Truncellito a favore di otto funzionari dell’Anas e dell’ex Provincia (ora Regione, in seguito al passaggio di competenze) imputati con l’accusa di omicidio colposo, si apre un nuovo capitolo. Il legale che in questi anni ha affiancato i genitori e i nonni della giovane - l’avvocato Stefano Alunni Barbarossa - intende ora andare a fondo sulle possibili responsabilità degli enti coinvolti avviando una causa civile.

I dubbi sulla vicenda, in effetti, non mancano. Al di là delle molteplici cause che potrebbero aver determinato l’incidente mortale (imprudenza, velocità, un colpo di sonno o, ancora, l’asfalto viscido visto che quella notte pioveva), la famiglia è convinta che quel pezzo di metallo contro cui è andata a sbattere Cristina non doveva essere lì. «Quel guardrail non aveva senso di esistere e se non ci fosse stato - osserva il papà della ragazza, Stefano Angeli - mia figlia non sarebbe morta. Magari avrebbe sfasciato la macchina (una Y10, ndr) nel bosco, contro i rovi, e mi avrebbe telefonato di notte per chiedere di venire a soccorrerla. Ma la verità è che è finita contro un guardrail che non aveva motivo di esserci».

La ventunenne, va ricordato, stava ritornando a casa dopo una serata trascorsa assieme agli amici. Tre ore prima aveva finito il turno di lavoro al bar Vatta di Opicina.

A mezzanotte l’incidente, proprio durante il tragitto verso l’abitazione: nell’imboccare una leggera curva, Cristina ha sbandato e ha perso il controllo della sua automobile.

La macchina ha finito la sua corsa sul guardrail, che si è infilato nel cofano come una lama, oltrepassando l’abitacolo da una parte all’altra e arrivando fino al bagagliaio. Senza però sfiorare la giovane. A causare il decesso è stata invece la violenza dell’impatto.

«Il guardrail - precisa il padre - era come uno spuntone....». Il pezzo di metallo, come è venuto a galla in questi anni di processo, non era posizionato regolarmente sul ciglio della strada: qualcuno l’aveva modificato manualmente in precedenza, segando i pontoni che lo tenevano fisso al suolo e piegandolo a metà. Una cuspide, in buona sostanza. Probabilmente l’autore di questo pericoloso “fai da te” della protezione stradale è un cittadino qualunque che abita nei paraggi e che deve aver “ritoccato” la barriera a propria discrezione, forse per fare meglio manovra quando doveva passare. «Negli anni la strada è stata modificata - rileva ancora Stefano Angeli - ed è diventata un’arteria per l’immissione nella grande viabilità. Chissà, forse è stato un residente a ridurre il guardrail in quelle condizioni, per entrare meglio nella ciclabile usata come scorciatoia. Ma sono supposizioni. Il discorso è che l’ente proprietario doveva vigilare e mettere a norma il manufatto. Quella invece era una specie di lama, non visibile e non segnalata. Era uno spuntone nascosto da un cespuglio. Scandaloso».

Ad oggi comunque non è ancora chiaro di chi fosse quel tratto di strada. Dell’Anas? Dell’ex Provincia? In ogni caso, perché nessuno ha provveduto a rimuovere o a sostituire il guardrail azzoppato? Chi era responsabile della manutenzione? In passato ci sarebbe stato un palleggiamento tra i due enti. —





Riproduzione riservata © Il Piccolo