Schiavo di slot e roulette: «L’Aas mi aiuti a guarire»

Paolo ha cominciato nel 1999 con 60 mila lire e ha sperperato 600 mila euro «Puoi vincere ma il più delle volte va male. Cerchi di rifarti e perdi ancora»
Bumbaca Gorizia 22.06.2018 Casinò Park © Fotografia di Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 22.06.2018 Casinò Park © Fotografia di Pierluigi Bumbaca

Nel 1999 ha cominciato giocando 60 mila lire al casinò Ca’ Noghera di Venezia e in meno di 20 anni ha bruciato più o meno 600 mila euro tra slot machine e roulette. Ora Paolo chiede aiuto all’Azienda sanitaria: vuole disintossicarsi avviando un percorso di recupero che lo porti per sempre fuori dal tunnel del gioco. Per questo martedì incontrerà gli operatori del Sert e la sua speranza è di poter chiudere definitivamente con l’azzardo.

Dopo aver lavorato 16 anni in banca, negli anni Novanta si è licenziato per aprire un’agenzia immobiliare. «Nel primo mese ho guadagnato 20 milioni di lire, sette volte tanto quello che prendevo come quadro in banca e, in più, potevo gestire il mio tempo come volevo», racconta ricordando che con il passare del tempo, se un affare non portava un guadagno di almeno 30 milioni di lire, non si muoveva. Era un professionista di successo e, di conseguenza, aveva una notevole disponibilità economica. «Nel 1999, quando hanno aperto il casinò di Ca’ Noghera, sono andato a vedere come era, per curiosità. Era pieno di gente. Al sabato e alla domenica c’erano le code di mezz’ora per entrare e le macchinette erano sempre occupate. Ho giocato 60 mila lire. Il meccanismo è che magari vinci qualcosa e vai via. Poi però torni e giochi ancora e a quel punto cominci a perdere. Perdi 100 mila lire, poi ne perdi 200 e altre 300 e vuoi rifarti. Quella è la fregatura. Alle volte può andare bene, ma la maggior parte delle volte va male».

Il casinò a quel punto può diventa un’ossessione, ma è visto soprattutto come un passatempo. All’inizio Paolo andava solo a Ca’ Noghera, poi ha cominciato a frequentare i casinò della Slovenia, della Grecia e di diversi altri Paesi dell’area balcanica. «D’estate, anziché andare in spiaggia, con la mia compagna andavo al casinò, dove, tra l’altro, si stava anche più freschi- racconta Paolo -. Anche se a volte si vinceva, di solito si perdeva. Quando perdevo solo 700 euro, ero tutto sommato contento. Il casinò è un passatempo che ti dà emozione, è un modo per scaricare l’adrenalina. Se però uno giocasse senza soldi, non sarebbe lo stesso, perché mancherebbe il rischio. Il risultato del gioco lo sentivo dal volume dei soldi che avevo in tasca».

Il gioco però, oltre al conto corrente, consuma il fisico. «Dopo 12 ore in un casinò, sei stremato. Te ne vai e, magari, sei anche arrabbiato perché hai perso. Non riesci a dormire e così torni a giocare. Più perdi e più ti arrabbi: è una tortura, però continui a giocare e alla fine, per recuperare le energie, dopo la fatica di un week end al casinò, ci metti due o tre giorni».

Paolo è perfettamente consapevole del fatto che le perdite sono sempre maggiori rispetto alle vincite, ma questo non lo ha mai fermato. «Non c’è corrispondenza, e alla fine, a dirla tutta, c’è anche poca soddisfazione nella vittoria perché sai che alle macchinette e alle roulette le tue capacità non contano: non dipende da te». Paolo distingue tra macchinette e carte. «Lì contano le capacità del giocatore. Avrei voluto giocare a poker, ma non ci vedo bene e con le carte, se non cogli tutti i dettagli, non puoi vincere».

A causa di una piccola condanna per truffa che lo obbliga alla firma in questura e a non lasciare il territorio di Gorizia, per ora non può frequentare i casinò, ma Paolo ha paura che, chiusa la parentesi con la giustizia, fra qualche mese potrebbe ricominciare a frequentare le case da gioco slovene o di Venezia. Per quanto riguarda le sale slot e i bar, invece, non ci sono pericoli. Lui che è un accanito frequentatore di casinò, conosce la differenza tra le queste e quelle macchinette «Nei casinò danno in media il 10% di quello che viene giocato e c’è il controllo degli ispettori, nei bar, invece, non si vince mai. Bisogna essere davvero disperati». Ed è proprio per evitare di arrivare a quel livello che Paolo ora chiede aiuto all’Azienda sanitaria.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo