Serbia e Kosovo, è scontro sulle miniere

BELGRADO. Da un enorme complesso minerario, un tempo orgoglio della Jugoslavia e oggi quasi improduttivo, sta nascendo una crisi esplosiva sulla direttrice Belgrado-Pristina. La miccia è stata innescata dalle miniere di Trepca, in Kosovo, divise su base etnica dal 1999 e di nuovo fonte di tensione.
Nella notte fra venerdì e sabato il Parlamento kosovaro ha approvato un disegno di legge del governo relativo alla nazionalizzazione della miniera. A dire sì alla proposta sono stati 79 deputati, ma i rappresentanti della minoranza serba hanno lasciato l’Aula in segno di protesta prima della votazione. Non hanno così potuto ascoltare il premier kosovaro, Isa Mustafa, assicurare che con la nuova legge Trepca finirà nelle mani di Pristina. Trepca «è proprietà del Kosovo» e le sue risorse minerarie, assieme a immobili e macchinari, sono e rimarranno «in Kosovo», ha promesso.
La legge – che forse sarebbe stata meglio accolta anche dai serbi, se maggiormente coinvolti nella sua stesura - prevede la “morte” di Trepca, e l’immediata sua resurrezione come società per azioni. L’80% della miniera sarà controllato dal governo di Pristina, il restante 20% rimarrà in mano ai lavoratori. Era un passo dovuto: Pristina si farà infatti anche garante dei debiti della compagnia, congelando la procedura di liquidazione che si sarebbe dovuta aprire a novembre, causa 1,4 miliardi di euro di debiti.
Tutto bene? Non proprio. La vicenda di Trepca è infatti complessa e delicata, come molte che riguardano il Kosovo. Lì, nell’ex provincia serba, a poca distanza da Mitrovica - la mini-Berlino divisa in due tra serbi e albanesi - c’è Trepca. Una parte, il più antico “cuore” dell’impianto minerario, si trova nella zona a maggioranza serba. Un’altra, a Mitrovica sud, nell’area controllata dai kosovari albanesi, viene già oggi gestita dalle autorità di Pristina.
C’è poi anche un pugno di stabilimenti secondari dispersi nel resto del Kosovo, tutti attivi «al 15% delle capacità» d’anteguerra, specificano documenti dell’amministrazione di Trepca. Sono lontanissimi gli Anni Ottanta, quando il complesso industriale rappresentava i due terzi del Pil del Kosovo e la punta di diamante dell’industria estrattiva jugoslava, occupando più di 20mila addetti - oggi ridotti a poco più di 3mila - in una quarantina di miniere di oro, argento, cadmio e soprattutto di zinco e piombo. Miniere che, potenzialmente, potrebbero risorgere, portando soldi e lavoro a chi le controlla. Da qui la rabbia, espressa pacificamente da centinaia di serbi del Kosovo, che temono il controllo diretto di Pristina e da giorni scendono in piazza nel nord a fianco dei minatori, casco rosso in testa, bandiere con il simbolo di Trepca in mano e slogan come «no alla legge» e «Trepca lavora, il popolo vive». I loro colleghi albanesi nel resto del Kosovo festeggiano invece per la legge, pieni di speranza che Trepca riparta a pieno regime.
Ma la legge ha scatenato ieri anche la durissima reazione di Belgrado, che rivendica il controllo sul 75% delle miniere. La «decisione di Pristina non ha alcun valore, non è la prima volta che si tenta di saccheggiare Trepca, come i nazisti nella Seconda guerra mondiale» e le miniere rimangono fondamentali «per l’esistenza dei serbi in Kosovo», ha reagito Marko Djuri„, capo dell’Ufficio governativo serbo per il Kosovo.
Per Djuri„ Belgrado non starà a guardare un altro «tentativo di pulizia etnica» attraverso Trepca. Già domani, ha annunciato, la Serbia alzerà il tiro. E chiederà una convocazione urgente del Consiglio di sicurezza Onu sul caso Trepca, la miniera che ancora divide profondamente Belgrado e Pristina.
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