Simsig si è impiccato in cella

Uccise l’ex convivente Tiziana Rupena, ha usato la cintura dell’accappatoio
Di Laura Tonero

Si è tolto la vita ieri mattina annodandosi la cintura dell’accappatoio intorno al collo e appendendosi alla cerniera della porta del bagno di una cella del Coroneo. Si è suicidato così Giulio Simsig, 49 anni, in carcere dall’11 settembre del 2011 per aver ucciso a coltellate la sua ex convivente, Tiziana Rupena. A scoprire il corpo esanime dell’ex gruista della Fincantieri che stava scontando la condanna di 16 anni e 8 mesi inflittagli dalla Corte d’Appello, sono stati i suoi quattro compagni di cella. Qualcuno si era appena svegliato, altri stavano ancora sonnecchiando.

Simsig, come faceva ogni mattina, si è appartato in bagno. Erano le 9.40 quando chi condivideva con lui la cella, dopo che erano passati parecchi minuti, si è insospettito. Lo ha chiamato, poi ha sentito un tonfo ed è corso a vedere cosa era accaduto. Trovandosi di fronte alla terribile scena ha immediatamente dato l’allarme chiamando gli agenti della polizia penitenziaria. «I tentativi di rianimarlo da parte del personale sanitario della casa circondariale e del 118 sono stati tempestivi ma purtroppo sono risultati vani», spiega il direttore del Coroneo, Ottavio Casarano che non intende rilasciare dichiarazioni specifiche in merito all’accaduto.

Una tragedia nella tragedia, dunque. Un suicidio che alle spalle si lascia un tremendo delitto: quello dell’uccisione di Tiziana Rupena, aggredita una domenica mattina nella sua stanza da letto al primo piano della villetta della madre a Patriciano. Il suo ex convivente era salito fino al terrazzo usando una scala a pioli. Stretto nella mano destra aveva il coltello da marinaio con cui ha vibrato sette colpi, uno dei quali ha reciso la carotide della donna che aveva osato lasciarlo. Poi era rimasto sul luogo del delitto, si era costituito. Una volta in carcere è scivolato in un profondo stato di depressione. Si era subito pentito. Già il 24 luglio del 2012 aveva tentato di togliersi la vita gettandosi dalla tromba delle scale del palazzo di Giustizia e solo grazie al pronto intervento di due agenti della polizia penitenziaria quell’episodio non si era trasformato in una tragedia.

Ieri mattina la notizia del suicidio dell’assassino di Tiziana Rupena ha fatto subito il giro del carcere. Tutti si erano accorti fin da subito che era accaduto qualche cosa di grave. Il viavai degli operatori del 118, la frenesia con la quale si muovevano gli agenti e le facce sbarrate e attonite di chi viveva con lui nella piccola cella non lasciavano dubbi. Per molti quella di Giulio Simsig era una morte annunciata. E qualcuno si chiede come mai, visto che ai detenuti non è consentito possedere cinture per evitare vengano usate per gesti estremi, a Simsig, che già aveva tentato di uccidersi, era stata lasciata quella dell’accappatoio. «Quando una persona muore in carcere – dichiara Sergio Mameli, l’avvocato che ha difeso Simsig fin dal momento dell’arresto - non possiamo non esimerci dal fare un esame di coscienza. Non vi è dubbio che Giulio Simsig fosse una persona molto depressa, che in carcere aveva perso oltre 50 chili. Viveva in uno stato di prostrazione, era pieno di sensi di colpa per l’omicidio della povera Rupena – continua il legale – e questa sua situazione, forse, non è stata presa in dovuta considerazione». Viste le condizioni del suo assistito, Mameli aveva più volte chiesto gli arresti domiciliari a casa del figlio che aveva dato disponibilità a ospitarlo e che gli è sempre stato vicino fin dal momento dell’arresto. «Purtroppo – conclude l’avvocato – i domiciliari non gli sono mai stati concessi. E ora è finita».

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