Slovenia fuori dai parametri di Maastricht

Il rapporto deficit-Pil vola al 7,9%. Il governo spera in una deroga di due anni da Bruxelles. In programma nuovi tagli
Slovnija, Ljubljana, 24.05.2013 , 24. Maj 2013 Alenka Bratusek se pogovarja s kolegi pred zacetkom seje Drzavnega zbora o fiskalnem pravilu. politika Foto: Srdjan Zivulovic/Bobo
Slovnija, Ljubljana, 24.05.2013 , 24. Maj 2013 Alenka Bratusek se pogovarja s kolegi pred zacetkom seje Drzavnega zbora o fiskalnem pravilu. politika Foto: Srdjan Zivulovic/Bobo

TRIESTE. Rigore su rigore, il governo sloveno cerca di tappare i buchi della nave dello Stato che sta affondando tra i marosi della crisi economica e sociale. E dopo una burrascosa riunione l’esecutivo guidato dal Alenka Bratušek ha varato una manovra economica per cercare di riequilibrare il bilancio e fermare il debito pubblico a quota 1,5 miliardi il che significa un rapporto deficit-prodotto interno lordo pari a 4,2%, ossia oltre i parametri di Maastricht (3%). Da rilevare però che il limite fissato dal governo non include le spese che lo Stato dovrà affrontare per la fase di ricapitalizzazione delle banche pari al 3,7% del pil. Sommando queste due cifre secondo la metodologia Esa95 il rapporto debito pubblico-pil sarà del 7,9%, cifra questa che è presente nel rapporto già presentato a Bruxelles. Ma, nonostante tutto, per Lubiana non dovrebbe scattare alcun procedimento di infrazione. La Bratušek, infatti, è convinta, dopo la sua recente puntata a Bruxelles, che l’Ue concederà alla Slovenia altri due anni di tempo per rientrare nei parametri, una proroga di cui, peraltro, usufruiscono già attualmente la Grecia, il Portogallo e la Spagna. Il commissario agli Affari economici Olli Rehn ha dimostrato disponibilità in questa direzione purché Lubiana dimostri nei fatti l’attuazione di una concreta stagione delle riforme e l’avvio del risanamento del sistema bancario del Paese. La proroga che dovrebbe venir concessa dalla Commissione dovrà successivamente essere ratificata dagli altri 26 Paesi membri. La necessità di riequilibrare il bilancio sloveno è data dai principali indicatori finanziari ed economici del primo quadrimestre del 2013 quando il debito ha già toccato quota 962 milioni (a un terzo dell’anno consumate già le risorse relative a due terzi).

Il governo si è dato ora 50 giorni di tempo. Entro il prossimo 6 giugno ciascun ministero dovrà presentare al ministero delle Finanze un proprio piano di tagli. È bloccata qualsiasi forma di nuovo investimento. Il riequilibrio di bilancio sarà approvato a metà luglio. E si preannuncia così un’estate rovente visto che già nell’ultima riunione dell’esecutivo non sono mancate le tensioni e qualche alzata di voce. Il più critico è il ministro degli Esteri Karl Erjavec (Desus-pensionati) il quale afferma senza mezzi termini: «La Slovenia può tranquillamente chiudere il ministero degli Esteri visto che il riequilibrio di bilancio prevede un taglio del 20% delle sue risorse». «Dobbiamo decidere - sostiene - se abbassare le saracinesche del ministero oppure trovare un compromesso accettabile. Certo lo so che bisogna risparmiare - conclude - ma bisogna farlo laddove si può». Ma Erjavec non è il solo ministro infuriato. Lo affianca anche il responsabile del dicastero dell’Istruzione, Jernej Pikalo il quale spiega che alla luce dei tagli previsti non si riuscirà ad assicurare alla scuola il rispetto degli standard educativi previsti. Intanto in Parlamento è stato fatto il primo passo per l’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione. Questo diventerà operativo dal 2015. Ieri alla Camera di Stato però il governo si è spaccato, critiche infatti sono piovute dai banchi di Positiva Slovenia (Ps) il partito della premier. A favore hanno votato 78 deputati, contro 8. I “dissidenti” di Ps sostengono che la data del 2015 è «irreale» e determinerà grossi sacrifici per i cittadini nonché il tracollo dello Stato sociale. Pronta la replica della Bratušek che si è impegnata personalmente perché questo non avvenga. «Oramai - ha detto in Parlamento - non c’è più tempo per giochetti politici e veti». Veti che non ci sono stati per la riforma del regime referendario. Il referendum d’ora in poi per essere valido dovrà vedere una partecipazione al voto di almeno il 20% degli aventi diritto e non sarà attuabile per norme relative alle tasse, alle dogane, alla difesa e ai diritti umani.

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