Storie di vita sotto le bombe e i “fantasmi” della Galleria

Furono 121 i morti nel 1944-1945, ma di una ventina non si conosceva il nome Un volume ricostruisce una pagina a lungo dimenticata restituendo la memoria  



La quindicina di bombardamenti angloamericani che colpì Monfalcone e in particolare Panzano tra il 1944 e il 1945 provocò almeno 121 morti e 1.300 feriti. Donne, uomini e bambini di cui si è persa, se non nelle loro famiglie, la memoria, cancellata dall’esigenza nell’immediato secondo dopoguerra di ripartire, ricostruire, eliminando quanto poteva ricordare le tragedie della guerra. A iniziare dalle garitte, trincee anticarro, cortine di reticolato, rifugi antiaerei. L’unico “residuo” a non poter essere rimosso era la Galleria rifugio: un fantasma di cemento e roccia lungo 266 metri, largo 6 e alto 5, in grado di accogliere fino a 4 mila persone.

La sua presenza fu però presto ridotta al silenzio dal governo alleato, con il tombamento dell’accesso da piazza della Repubblica, celato a tutti dalla scalinata di salita Granatieri. La Galleria rifugio ha però continuato a esistere in attesa di essere riscoperta e potersi raccontare a una Monfalcone diversa. Quanto avviene ora nel libro realizzato per l’Associazione galleria rifugio, sorta qualche anno fa per promuovere il recupero del tunnel, da Pietro Commisso e Maurizio Radacich, che prendono la storia del ricovero come punto di partenza per ricostruire quella complessiva della città nel biennio ’44-’45 e nel periodo immediatamente successivo, andando oltre agli aspetti “tecnici” della difesa antiaerea.

A rendere il vissuto di quei giorni drammatici sotto le bombe e con la paura continua che cadessero ci sono immagini inedite delle distruzioni a Panzano e i racconti di chi, allora bambino, li visse in prima persona. La vita in tempo di guerra era sempre appesa a un filo, come bene si sottolinea nel volume, e dipendeva spesso da una decisione presa sul momento, come fu quella di Roberto Lupoli. All’epoca un bambino di 7 anni, nella sua testimonianza, raccolta dai due autori, assieme alle altre presenti nel libro, Lupoli spiega di aver avuto salva la vita per aver scelto di far visita alla madre ricoverata nell’ospedale civile per una pleurite piuttosto che andare a vedere uno spettacolo di magia.

Era quello del mago Delpho, al secondo Eriberto Hlavaty, che nel pomeriggio del 4 marzo doveva esibirsi, come poi fece, nella sala mensa del cantiere navale, il cui ingresso fu colpito da alcune delle 135 bombe sganciate da una formazione di 45 cacciabombardieri alleati. Il locale era affollato da bambini e genitori, ma, «per grazia singolare», come riportato dai frati francescani nella cronaca del convento della Marcelliana, ci furono solo 5 morti (due donne, due bambini e un uomo).

Il bombardamento, da cui il mago Delpho uscì indenne, fece comunque altre vittime nella zona di Aris e in quella del cavalcavia ferroviario verso Ronchi dei Legionari. Al tempo la popolazione conviveva da un anno circa con la paura di morire a causa degli ordigni sganciati sulla città, perché è del 12 aprile del 1944 la prima incursione che provocò gravi lutti alla comunità. Vi parteciparono solo due o tre aerei che sganciarono una decina di bombe di piccolo e medio calibro da un’altezza di 400 metri, causando però non meno di 47 vittime.

«Dare però loro un nome non era e non è semplice – spiega Commisso –, anche a causa dell’imprecisione dei documenti del periodo» . I registri in alcuni casi riportano pure dei doppioni, senza però allo stesso tempo offrire delle indicazioni certe sull’identità della vittima.

Non molto tempo fa Commisso è stato chiamato da una famiglia che aveva saputo del lavoro avviato dall’associazione. «Mi hanno voluto mostrare un disegno: era l’ultima cosa fatta da un loro congiunto, un giovanissimo monfalconese di 12 anni morto nel bombardamento a cavallo tra 11 e 12 aprile del 1945», racconta. Nella lista il mese non compare, un errore che ha contributo a creare confusione sull’identificazione dei deceduti. Finora l’associazione è in ogni caso riuscita a determinare quasi un centinaio di nomi delle vittime dei bombardamenti alleati su Monfalcone, in cui rientrano in via indiretta anche i 5 monfalconesi finiti calpestati nella calca determinata da un falso allarme all’uscita della galleria rifugio l’1 maggio del 1944. «Il nostro auspicio è che il tunnel possa trasformarsi in un luogo della memoria, ma anche di aggregazione rivolta soprattutto ai più giovani», afferma Commisso. Intanto il lavoro svolto assieme all’amministrazione comunale ha già prodotto, grazie all’investimento effettuato dal Comune, alla sistemazione dell’unico accesso rimasto, quello a ridosso del parcheggio ai piedi della Rocca. —



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