Suor Giuliana Galli: donne in gamba ma ancora “uome”

La vicepresidente della Fondazione Compagnia di S. Paolo: bene le affermazioni di Bagnasco su etica e governo

di Gabriella Ziani

Il sacro e il profano congiunti per il bene comune. Suor Giuliana Galli è un caso unico. La religiosa, che oggi interviene al meeting «La carica delle 101» parlando di «Donne più che rosa», è infatti vicepresidente della Fondazione Compagnia di San Paolo di Banca Intesa. Laureata in Sociologia, master in Scienze del comportamento a Miami, suor Giuliana in precedenza ha gestito il Cottolengo e con Francesca Vallarino Gancia ha fondato Mamre, una “onlus” che si occupa di integrazione e di progetti, anche all’estero, per chi ha bisogno. Nel 2008, a 73 anni, è stata indicata come consigliere della Fondazione dall’ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino, poi ha fatto carriera.

Una suora al vertice di un ente finanziario. Come mai ha accettato questo ruolo?

Intanto perché la Compagnia di San Paolo non è un ente puramente finanziario. È una fondazione che riceve soldi da Banca Intesa e da investitori saggi e oculati. La fondazione eroga fondi a cultura e ricerca, su un territorio allargato. Quando il sindaco Chiamparino mi propose come consigliera, io sapevo della Compagnia, ma non la conoscevo bene e dunque ho studiato, scoprendo che era sorta nel 1563 per opera di persone laiche e di un sacerdote che, visti i bisogni fortissimi della collettività, avevano anche messo fondi personali per aiutare le persone. Visti l’origine e la radice, mi sono detta che l’albero non poteva che essere buono, infatti è cresciuto e cambiato ma non si è allontanato da quella origine.

Lei quale contributo personale porta, come vicepresidente e suora?

Proprio in questi giorni abbiamo avuto coi consiglieri una discussione molto ricca di temi e interventi. La nostra forza, si è deciso, è quella di rimanere sul territorio, rispondendo con forza e con fiducia alle sfide del futuro. Io ascolto molto. Del resto comitato di gestione e consiglio di amministrazione sono formati da persone molto colte, competenti e attente.

E come l’accettano? Saranno tutti maschi...

Con simpatia. In effetti le donne sono poche. Ed è un peccato, perché conoscono molto di più la realtà quotidiana: più degli uomini. Potrebbero dunque ben contribuire a interventi più “mirati”.

E perché secondo lei le donne tuttora sono sempre poche là dove si decide?

Per mancanza di capacità non lo credo proprio. La donna dove agisce, lì fa bene. Però ancora, pur portando la propria specificità, alla fine diventa “uoma”, un ibrido. Deve ancora usare, magari inconsciamente, un atteggiamento maschile, entra insomma in un modello che non è stato ancora ben stabilito.

E spesso è anche definito da altri, non trova?

Per esempio le quote rosa. È una cosa che non mi piace proprio. E non piace alla maggioranza delle donne, poco tempo fa per un lavoro ne ho interpellata una cinquantina: tutte hanno rifiutato le quote rosa. Semplicemente, le difficoltà che incontrano le donne nascono a causa degli stessi motivi per cui si trovano continui “escamotage” per non concretizzare i dettati costituzionali. La Costituzione dice che nessuno deve incontrare impedimento per esercitare qualsiasi carica. Le quote rosa dunque non cambiano niente. Bisogna capire che le donne mettono a disposizione del bene comune i doni specifici del proprio genere, e questo non certo per decreto.

Le pare utile che le donne, come qui a Trieste, si parlino?

È necessario un dialogo pacifico, serrato, che possa cambiare la situazione. Sappiamo tutti che ancora ci sono uomini che dicono delle donne “ma vadano a far la calza!”. Sono solo questioni ancillari, se ci sono 50 uomini e una sola donna c’è subito chi si domanda “chissà come ci è capitata”.

Magari di questi tempi e in certi luoghi è una domanda che purtroppo risulta appropriata, viste le cronache...

Ma sappiamo che per quattro, o dieci che siano, che salgono agli onori degli altari laici ci sono centinaia di migliaia di giovani che invece parlano, discutono, studiano, e non si mettono nella posizione di queste particolari fanciullezze, ma il clamore è tale che il modello buono viene neutralizzato. L’opinione pubblica deve saper distinguere. Ci sono uomini che non dovrebbero nemmeno sedere in certi posti, in questo senso la responsabilità dei votanti è massima. Se il primo punto di un vero programma è il bene comune, la coscienza segue, e porta valori da mettere in atto. Invece adesso io penso che ci troviamo con persone, arrivate al grado massimo dell’interesse pubblico, che con quel che fanno se vivessero in paesi diversi dal nostro sarebbero prese letteralmente a sassate.

Mala tempora, lo dice anche come donna di Chiesa?

Io sono assai contenta che il cardinal Bagnasco abbia fatto affermazioni molto forti sull’etica e il governo. Si dice che la Chiesa non parla? Non è vero. I giornali cattolici hanno parlato e molto, e qualcuno ha anche molto sofferto per questo. Ma la Chiesa ufficiale è prudente, corre sempre il rischio di essere accusata di ingerenza, c’è un po’ di confusione: deve parlare o non deve parlare? Bagnasco ha dato coraggio a tutti i vescovi e ai cattolici, ha ridato la linea a tanta gente che vede nella condotta morale qualcosa da vivere, un’autorità vera.

Anche per questo lei viene a parlare con le 100 donne triestine?

Guardi, io adesso sto cercando di capire, abbiamo tanti modelli in giro e tutti parziali. Il momento è tale che c’è bisogno di una rifondazione della coscienza che parta proprio dalla parola. Cito volentieri il detto latino “vir bonus, dicendi peritus”: uomo di valore, esperto nel dire. Abbiamo bisogno di chiarezza di pensiero, di un più forte senso intellettuale, sapienziale, etico. Abbiamo bisogno di parole pesanti di sapienza, che siano difficilmente sostituibili il giorno dopo, a meno di un vero cambiamento della situazione, che se esiste va però innanzitutto spiegato. Altrimenti non c’è che confusione.

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