Tasse sulla nautica, fuga verso la Croazia. Illy: norma ingiusta, vendo la barca

TRIESTE. «No, non porto la barca in Croazia, però sto cercando di venderla». Nel giorno in cui gli operatori della nautica da diporto si riuniscono a Trieste per protestare contro la nuova tassa sulle imbarcazioni, Riccardo Illy smentisce a metà la notizia comparsa sulla stampa nazionale e assicura che la sua tredici metri non espatrierà: «Però capisco chi sta pensando di farlo». Il problema delle marina è per l’ex presidente del Fvg uno spunto per riflettere sulla manovra: le cose che si potrebbero fare diversamente, «attenzione a come si liberalizzano le farmacie», e quelle che si dovrebbero fare, «serve una liberalizzazione vera del settore energetico in Italia, accompagnata da un investimento adeguato nelle reti». Osservazioni al governo Monti, «ma fatte con bonarietà, perché capisco lo stato di emergenza in cui opera».
Illy, gli operatori della nautica scioperano contro la tassa sull’occupazione delle acque. Lei sta pensando di portare la barca oltreconfine?
No, non ho detto che intendo andare in Croazia. Ma è vero che tutte queste iniziative mi hanno disamorato. Avere una barca è un impegno continuo, anche se dà grandi gioie. Se poi si viene anche criminalizzati mi vien da pensare: se non vogliono che la tenga, la vendo. E allora la vendo.
Niente espatrio, insomma.
Mi ero informato sulle condizioni in Slovenia e Croazia, ma pare che di posti non ce ne siano più. Confermo che è più conveniente. Capisco gli stranieri che adesso, piuttosto che tenere la barca in Italia pagandola il doppio, decideranno di ormeggiarla in Croazia.
Allora è vero la norma avrà un effetto recessivo?
Che questa manovra in generale abbia anche effetti recessivi è un dato di fatto. Le addizionali, ad esempio, colpiscono tutti, e in proporzione pesano di più su redditi bassi e medi. Ed è inevitabile una crescita minore o addirittura un decremento del Pil. Ma al governo va dato atto di aver varato, pur agendo in condizioni di estrema emergenza, misure efficaci e sostenibili. Seppur dolorose.
Si doveva far meglio?
C’è ancora tempo per farlo. Ad esempio la tassa sulle imbarcazioni entra in vigore in maggio. Mi auguro che il governo la cambi, perché avrà ripercussioni molto negative sulle regioni di confine come Veneto, Fvg e Liguria. Io capisco il loro intento originario: intercettare gli italiani con barche battenti bandiere straniere tassando l’occupazione delle acque. Ma quel fenomeno è ormai residuale. Avrebbero fatto meglio a reintrodurre il vecchio bollo, che fu abolito senza ragione.
Altri esempi?
Il caso dell’Imu, una tassa che capisco davvero poco. Si poteva più semplicemente reintrodurre l’Ici, che era una vera imposta federale ante litteram. Piuttosto che inventare tributi nuovi a volte è meglio scoprire l’acqua calda. Ma lo dico con bonarietà.
Apriamo il capitolo liberalizzazioni.
In alcuni casi bisogna fare molta attenzioni. Le farmacie, ad esempio, offrono servizi obbligatori e devono sottostare a regole severe. Ma se domani il governo decide che chiunque può aprire una farmacia, a quel punto i farmacisti vorranno poter aprire la notte soltanto quando gli va. Inoltre, visto che il prezzo dei farmaci lo fissa lo Stato, vedo pochi vantaggi per il cittadino. Forse era meglio concentrarsi su meno settori, ma più sostanziali.
Quali?
In primis l’energia, che in Italia costa il 30% in più rispetto alla media europea. Serve una liberalizzazione vera, che parta dalla costruzione di nuove reti che siano accessibili a tutti i soggetti, non soltanto alle solite Eni e Snam. Stesso discorso per i servizi di pubblica utilità: in questo la direttiva Bolkenstein dell’Ue non aiuta, è inadeguata. E forse Monti dovrebbe farlo notare in sede di Commissione Ue.
Cosa pensa dell’azione del governo per il commercio?
Che va nella direzione giusta. Io ho sempre sostenuto che proibire ai negozianti, e soltanto a loro, di aprire quando serve, è incostituzionale. Senza contare che anche il consumatore ha i suoi diritti.
E il tema dell’articolo 18?
Il mercato del lavoro italiano è sclerotizzato. Da un lato lavoratori iperprotetti, si veda l’anomalia dell’obbligo di reintegro, dall’altro precari totalmente privi di tutela. È giunta l’ora di rivedere regole che furono scritte quando il posto fisso era una garanzia: ora non c’è più nemmeno in Giappone. È vero, noi non siamo la Danimarca, però il modello della flexicurity danese mi sembra un buon modello da cui prendere ispirazione per riequilibrare la distribuzione dei diritti. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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