Così la trattativa di Osimo è stata ricostruita grazie a quarantanove documenti
Il volume sulle carte dei negoziati presentato alla Farnesina: curato da Massimo Bucarelli e Arrigo Bonifacio, ripercorre i passaggi del braccio di ferro. Segreti e tensioni

Le ferite sanguinano ancora dopo 50 anni, eccome se bruciano: lo si vede dai toni accorati di chi, venuto a Roma apposta da Trieste, contesta la legittimità del Trattato di Osimo, «unico caso in cui uno Stato cede suoi territori senza nulla in cambio», o di chi lamenta l’assenza di tutele alle minoranze italiane in Istria.
Ed è curioso che questo avvenga in una sala della Farnesina intitolata ad Aldo Moro, colui che in quegli anni tumultuosi, dal ’68 al ’75 incarnava la teoria dell’appeasement con una Jugoslavia che doveva essere sottratta all’influenza sovietica: consentendo al Maresciallo Tito che la governava di vantare un successo diplomatico col “blocco occidentale” per non essere fagocitato dai russi.
L’occasione di riaprire le ferite per ricucirne i lembi con il conforto della storia è il volume che raccoglie i “Documenti sulla pace adriatica”, che ripercorre “il negoziato per gli accordi di Osimo nelle carte della diplomazia italiana”.
A cura di un storico delle relazioni internazionali come Massimo Bucarelli, di un docente all’Università di Udine, Arrigo Bonifacio che cura il saggio sulle minoranze e del coordinatore del ministero degli Esteri per le Minoranze e gli Esuli, Daniele Rampazzo.
Ma in realtà col Trattato qualcosa in cambio l’Italia la ottenne, su un piano più globale di realpolitik se così si può dire. Perché come spiega Bucarelli, ciò che emerge da questi documenti è che nel 1968, visto il contesto internazionale, nel timore che la teoria di Breznev della sovranità limitata dei paesi satellite sconfinasse fino alla vicina Jugoslavia, il nostro paese decise di procedere ad un negoziato globale senza porre la pregiudiziale dei confini da riscrivere, ma affrontando tutte le problematiche connesse per raggiungere una mediazione complessiva.
Lo ricorda il segretario generale della Farnesina, Riccardo Guariglia, quando ammette che il Trattato che pone fine alla questione dei rapporti tra Italia e Jugoslavia «fu un atto di doloroso pragmatismo».
Seguito dal pieno ritorno di Trieste alla madrepatria, ma che comportò il «sacrificio degli esuli istriani e dalmati che persero l’occasione di tornare a casa, di 250 mila italiani che dovettero abbandonare terre espiando le colpe del regime e che trovarono scarsa solidarietà nell’Italia repubblicana». Vuoto colmato con l’istituzione nel 2004 del Giorno del Ricordo «che restituisce dignità agli esuli».
Per questo, nel pensiero della nostra diplomazia, «Osimo da quel momento diventa il segno di una nuova era di collaborazione multilaterale e cessa di evocare una sconfitta». Tanto da poter fungere oggi da «esempio per iniziative di pace in altre regioni del mondo».
Insomma, a chi oggi ritiene sia normale passeggiare per Gorizia senza vedere nella piazza della Stazione Transalpina quel muro che la divise per decenni da Nova Gorica, a chi non fa caso che le due città siano state insieme capitale della cultura 2025, è bene ricordare che nulla era così pacifico mezzo secolo fa, ancora trent’anni dopo la fine della guerra.
Questa raccolta di 49 documenti fa capire quanto fosse complessa una trattativa durata sette anni fino al 1975. Con questioni pendenti come la delimitazione del confine settentrionale da Tarvisio a Monfalcone, dopo gli sconfinamenti incrociati di truppe nel corso degli anni; la istituzione del Territorio libero di Trieste, mai realizzato poi per la contrarietà degli alleati, tanto da diventare un problema di politica internazionale.
E la gigantesca questione delle minoranze italiane e slovene. Da qui la convinzione di Moro che si potessero consolidare gli interessi del nostro paese grazie al commercio e alla stabilità, secondo il principio che “un confine sicuro è quello con un paese amico”.
Dunque Osimo fu il contributo che l’Italia poteva dare alla pace e alla stabilità in Europa. Accordo costruito – come raccontano questi documenti – con un negoziato tenuto segreto per le resistenze interne alla Dc e al Msi di Almirante, nonché di una parte della nostra diplomazia. Tanto che alla firma, la reazione popolare fu durissima: il governo italiano fu criticato per aver ceduto territori e non aver tutelato le minoranze. Ma in realtà dai documenti viene a galla il braccio di ferro dell’Italia che chiedeva di consentire ai rimasti di conservare la cittadinanza italiana, ma si trovò un muro davanti. E che proprio su questo nodo si arrivò quasi alla rottura.
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