Trieste: «Adolf finisci il lavoro», triestino imputato di razzismo

Un uomo residente in Slovenia finisce a processo per i post su Facebook pochi giorni dopo la strage di Parigi

TRIESTE. «Adolf ritorna e finisci il lavoro». Questa e tante altre frasi simili erano finite in rete, su Facebook pochi giorni dopo la strage parigina di Charlie Hebdo. L’autore si chiama Adamo Caniglia, 46 anni, triestino, residente in Slovenia. Il gip Laura Barresi lo ha rinviato a giudizio: comparirà in aula il prossimo 7 marzo davanti al tribunale collegiale.

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È accusato dal pm Pietro Montrone di aver espresso su Facebook idee e giudizi antisemiti. In pratica, secondo il pm, Caniglia ha messo in rete frasi di propaganda di idee fondate sull’odio razziale. Lo ha fatto partecipando a un dibattito online all’interno del gruppo “Nimdvm” che fa riferimento all’avvocato Alberto Kostoris.

La data dell’episodio è quella del 10 gennaio del 2015, pochi giorni dopo la strage di Parigi. In quel periodo era stato attivato sul gruppo di Facebook aperto fondato da Kostoris un dibattito sull’accaduto, al quale avevano partecipato molte persone in gran parte triestine.

Tra le tante aveva scritto il proprio pensiero anche Adamo Caniglia. Che fin da subito, come emerge dal capo di imputazione, se l’era presa con gli ebrei. Aveva scritto: «La colpa dei sionisti e del Mossad (ndr, il servizio segreto israeliano), vero cancro del mondo».

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Poi era andato giù ancora più duro. Lo aveva fatto dopo che altri partecipanti al dibattito avevano espresso le proprie rimostranze. Ma la replica di Caniglia non si era fatta attendere. Era stata ancora più dura: «Adolf ritorna e finisci il lavoro». Insomma quasi un invito a far fuori tutti gli ebrei.

A questo punto, su incarico della comunità israelitica di Trieste, è entrato in ballo direttamente l’avvocato Alberto Kostoris che, come legale della stessa comunità, ha inviato alla Procura della Repubblica un esposto ipotizzando che le frasi di Caniglia rappresentassero una evidente propaganda di idee fondate sull’odio razziale. Da qui all’apertura di un fascicolo da parte del pm Montrone il passo è stato breve.

«Ho voluto segnalare il fatto per dare un esempio - aveva spiegato nell’occasione l’avvocato Alberto Kostoris - Perché anche se sono passati tanti anni dalla persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti, sono molteplici anche in questi tempi gli episodi di odio razziale che tuttora sussistono». Ora il rinvio a giudizio per le frasi sul social. Caniglia è stato assistito d’ufficio dall’avvocato Giovanna Augusta de’ Manzano.

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Ma quella dei commenti razzisti su Facebook non è una novità. Nello scorso ottobre a Venezia era scoppiata una vera e propria bufera giudiziaria. Coinvolta Fiorenza Pontini, una professoressa di 59 anni del liceo Marco Polo che già in passato era stata al centro di contestazioni per motivi simili all’istituto Foscarini, dal quale poi aveva chiesto il trasferimento.

In una serie di post pubblicati durante l’estate la docente si era esibita in una serie di commenti razzisti nei confronti dei migranti. Ecco qualche esempio: «Speriamo che affoghino tutti», «Bisogna eliminare anche i bambini dei musulmani tanto sono tutti dei futuri delinquenti», e ancora, in un altro post: «Bruciateli vivi, ammazzateli tutti».

Oppure: «Mi dispiace sentire che più di qualche profugo si salva, questa invasione di profughi è la peste del terzo millennio con la differenza che la malattia è stata sconfitta e questa ce la terremo ad infinitum».

È infine di poche settimane fa poi la notizia che anche Mark Zuckerberg il ceo di Facebook sarebbe indagato a Monaco di Baviera perché proprio Facebook incita all’odio razziale. Con lui nel mirino degli inquirenti ci sarebbero anche altri manager della società, come la direttrice operativa Sheryl Sandberg, il capo-lobbysta per l’Europa Richard Allan e la sua collega di Berlino Eva-Maria Kirschsieper.

A dirlo è il settimanale tedesco Der Spiegel. In particolare i vertici di Facebook sono accusati di incitamento all'odio raziale per non avere rimosso dal social network post con minacce di morte e negazione dell’Olocausto. L’indagine, ha spiegato Der Spiegel, è partita a seguito di una denuncia presentata dall’avvocato Chan-jo Jun di Wuerzburg, in cui si segnalava che anche dopo ripetute segnalazioni, Facebook non aveva rimosso contenuti illegali.

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