Trieste, assolti per il “profumo” alla cannabis

Marito e moglie “graziati” poiché la sostanza era proibita dalla Fini-Giovanardi divenuta incostituzionale
Una Coltivazione di marijuana
Una Coltivazione di marijuana

TRIESTE La droga, anche se “smart”, fa male. Pure allo Stato, in questo caso. Già perché altro non può essere considerato, se non un “caso” nazionale, il percorso giudiziario di cui sono stati protagonisti marito e moglie triestini, condannati in primo grado nel 2013 e in Appello nel 2014 per aver venduto nel loro negozio etnico di via Madonnina un profumatore per la casa a base di Jwh, un cannabinoide, e assolti l’altro venerdì in via definitiva dalla Cassazione perché il fatto non costituisce reato.

O meglio perché all’epoca non poteva costituire reato. Motivo? Il nome del cannabinoide di cui alla coppia era stata contestata la vendita come “smart-drug” stava in mezzo ad altri 500 nelle tabelle ministeriali recanti le sostanze proibite dalla legge Fini-Giovanardi del 2006. Tabelle che rifacendosi a quella legge, dichiarata incostituzionale nel 2014 dalla Corte Costituzionale, sono diventate carta straccia. Inapplicabili appunto tra il 2006 e il 2014. E lo smercio costato ai due la reclusione ci sta dentro, in pieno, se è vero che le indagini l’avevano fatto risalire a cavallo tra il 2011 e il 2012. E nulla importa, tecnicamente, se dopo la bocciatura della Fini-Giovanardi Jwh e compagnia siano rientrati in nuove “liste nere” dello Stato.

Era infatti il 2012 quando la triestina Monica Cassotta, oggi 34enne, e suo marito Ervin Velagic, originario della Bosnia e italiano per matrimonio, erano stati arrestati. La coppia, in precedenza, aveva già avuto a che fare con la giustizia: nel 2011, in particolare, era stata oggetto d’una condanna a due anni e otto mesi perché nel 2009, nella sua casa di San Vito, la Squadra mobile aveva scoperto una super-serra di marijuana. Nel 2012, come si diceva, Cassotta e Velagic erano rifiniti nei guai dopo che alcuni giovani - che avevano evidentemente fumato quello che doveva essere un semplice profumatore - si erano sentiti male e uno di questi aveva raccontato dove l’aveva comperato.

Nel 2013, al termine del processo di primo grado, celebrato con rito abbreviato, il giudice Paolo Vascotto aveva condannato il marito a due anni e sei mesi e la moglie a due anni e tre mesi per spaccio. Nel 2014, quindi, nonostante la Consulta avesse già dichiarato incostituzionale la Fini-Giovanardi, la Corte d’Appello aveva respinto il ricorso del loro difensore, l’avvocato Carlo Alberto Zaina di Rimini.

Il quale, viste poi come sono andate le cose, non ha mollato. Ha impugnato le due condanne in Cassazione, sostenendo tra le altre cose «il principio della nozione legale di stupefacente», ovvero che può essere ritenuta tale solo la sostanza presente nelle relative tabelle. Tabelle cassate dalla Corte Costituzionale, sentenze di primo e secondo grado cassate conseguentemente dalla Cassazione, la cui Terza sezione penale venerdì sera ha ribaltato tutto, annullando le condanne senza alcun rinvio alla Corte d’Appello.

Organo che sarà chiamato in causa lo stesso dall’avvocato Zaina, per la richiesta di indennizzo allo Stato prevista dal Codice di procedura penale. «Il giudizio morale è una cosa, quello penale un’altra. E in questo caso il giudizio penale, tecnico, con cui i miei assistiti sono stati assolti, è ineccepibile. In particolare la signora ci ha rimesso in salute, tra carcere e domiciliari ha praticamente scontato tutta la condanna oggi riconosciuta ingiusta a causa di una legge fatta male. Mi chiedo se ogni tanto il senatore Giovanardi non si renda conto dei danni che ha fatto con la sua legge».

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