TRIESTE E IL CONFINE VIAGGIANTE

Un accordo di collaborazione fra Trieste e Venezia sarebbe parso astruso una decina d'anni fa, e quantomeno irrealistico solo un paio. Venezia e il Nordest, come pure la Slovenia e la Croazia, per Trieste non esistevano proprio. Noi eravamo "altro" per definizione: altre esigenze, altre indefinite opportunità di sviluppo, altri favori della storia da meritare. Era il mito della nostra autosufficienza economica e culturale: impossibile da sradicare per qualsivoglia amministratore con le sue sole forze. Un mito che affondava le radici sia nella pur nobilissima storia autonomistica della città, sia nelle molte ferite che la storia stessa le aveva inferto, determinando una mistura, perlopiù inconsapevole, di sdegno doloroso e sfiducia di sé. L'ultimo emblema di quest'ostentata estraneità fu la candidatura all'Expo che tra qualche mese Saragozza ospiterà: alla proposta di portare sul palco alla finale di Parigi anche il primo cittadino di Venezia, fu risposto corrugando le sopracciglia. O non era già Trieste il centro del mondo? Ecco perché l'intesa siglata tra i due sindaci Dipiazza e Cacciari, pur non rappresentando la panacea di alcunché, simboleggia davvero una rivoluzione copernicana.


Quella di una Trieste che riconosce, accetta e valorizza l'appartenenza a un territorio più ampio, rispetto al quale - dai Dogi ai Balcani - ha vaste diversità culturali, ma altrettante affinità; dal quale può ricevere grande linfa di sviluppo economico, e al quale altrettanto può dare per spessore culturale, capacità di relazione, proiezione internazionale; del quale può persino proporsi punto di riferimento, se non addirittura baricentro e quindi capitale. L'intesa con Venezia ci dice anzitutto che Trieste è parte del Nordest. Può condividerne lo sviluppo, i problemi di carenza di aree produttive (offrendo le proprie, puntellate solo di carrozzerie e concessionari, quando saranno bonificate), e - speriamo - il "contagio" imprenditoriale. E finanche farsi carico di traghettarlo oltre confine, tessendo reti economiche e istituzionali che oggi prendono miracolosamente vita: non fu poco dignitoso per il Comune andare in trasferta a Sesana, se oggi ospitiamo nell'aula municipale il sindaco di Venezia e domani quelli di Lubiana e Zagabria, due capitali europee,. Ebbene, questi simboli contano ma ora usciamone, traducendone il brulichìo entusiastico in cose da fare e tempi da rispettare.


E' l'unico modo sia per convincere la ritrosìa culturale dei molti spaventati dal mare aperto, che albergano a destra come a sinistra, e vorrebbero rifugiarsi in un mondo di brevi rendite che non c'è più, magari per criticarlo come e più di prima; sia per evitare che tutti noi ci si areni ai proclami, ai tappeti rossi e al frizzantino, rimanendo vittime della retorica del futuro dopo aver coltivato quella del passato, felice immagine tratteggiata da Gianni Cuperlo su queste colonne. Fatti, dunque. Tra i molti obiettivi concreti che compongono l'accordo fra Trieste e Venezia, uno ha la priorità assoluta. I collegamenti per chi si muove: autostrada, ferrovia, aeroporti. Smantellato il confine tangibile con la Slovenia, dobbiamo ora adoperarci per rimuovere il "confine viaggiante" che ci separa dal Veneto, la barriera diffusa e immateriale, ma altrettanto pervasiva, rappresentata dall'intollerabile lentezza di trasporti o inesistenza di collegamenti. Uno degli effetti più sorprendenti della dismissione delle guardiole a Fernetti è stato proprio l'immediato rimescolamento di persone: gli uni a far la spesa là, gli altri a vestirsi e a cenare qui. Ieri lo si poteva fare quanto oggi, ma c'era il confine in mezzo: una barriera psicologica e temporale - un quarto d'ora in più - rimossa la quale gli scambi di cose e persone si sono moltiplicati.


Le code sull'A4 e i treni lumaca fino a Mestre non sono nulla di diverso: il tempo è spazio (e denaro), l'impossibilità di colmare la distanza deforma la carta geografica e ci allontana dal vicino. Vivere un territorio più ampio, sentendolo come proprio, significa per le persone poterlo frequentare, e per le merci e i servizi poter essere scambiati: meno tempo necessario, uguale più scambi. Di qui un'agenda che speriamo sia perseguita coralmente e con incisività da amministratori e parlamentari triveneti: completamento della terza corsia sull'autostrada, accelerazione dei progetti dell'alta velocità ferroviaria da Mestre a Trieste, integrazione societaria e operativa tra gli aeroporti di Ronchi e Venezia. Mentre per autostrada e ferrovia è "solo" questione di tempi (purtroppo scoraggianti nel secondo caso), sull'aeroporto è proprio la strategia a difettare. A dispetto di ogni evidenza sulla concentrazione dei traffici mondiali, sembra ancora prevalere la concezione di uno sviluppo di Ronchi autonomo da Venezia, che a chi scrive pare di disarmante miopia. Fare di Ronchi il terzo piazzale di Venezia (i primi due saranno saturi tra qualche anno) significherebbe anche fare di Venezia un mega-piazzale di Ronchi, favorendone uno sviluppo molto più rilevante dell'attuale, ch'è nella media italiana. Ostinarsi a guardare solo la prima delle due facce è coltivare l'illusione di diventar grandi rimanendo piccoli.

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