Trieste, l’esercito di “invisibili” di casa in Porto vecchio - FOTO

TRIESTE Ha le braccia scoperte, bruciate dal sole e magrissime, e indossa una canottiera bianca. Con una mano trascina a fatica un carrellino nero consunto e con l’altra porta una tanica di plastica piena d’acqua.
Lui, un uomo sulla cinquantina quasi scheletrico, si dà il cambio con un’altra coppia, originaria dell’Est, forse dalla Bulgaria o dalla Romania.
I tre vanno su e giù, rovistando nei cassonetti, dalla loro nuova “casa” in Porto vecchio alla stazione dei treni, dove attingono dalla fontana tra i binari, perché nella loro “abitazione” le utenze di luce, acqua e gas con tutta probabilità sono staccate dagli anni ’80.
Da quando cioè i manovratori dei carri ferroviari lasciarono la struttura già ai limiti dell’abitabilità, che fungeva da spogliatoio, per trasferirsi in quella accanto.
Oggi quella struttura è diventata una dimora dei senzatetto, come tanti altri degli edifici monumentali nei 67 ettari di quello che nel 1865 diventò l’area per il progetto del “Nuovo Porto commerciale di transito”.
Magazzini che, nel 2017, aspettano ancora di sapere quale sarà la loro sorte, o meglio, la destinazione d’uso (fatta eccezione per i recenti progetti relativi alla ristretta area che ospiterà l'Esof 2020).
Nella città fantasma, gli abitanti sono vari e stazionano dall’ingresso di largo Santos fino alla fine, dove si trova l’ultimo hangar, il 34, sede un tempo della Stock.
Le “accomodation” sono varie: ci sono vere e proprie stanze fatiscenti allestite con quel che si può a mo’ di appartamento, o semplici bivacchi temporanei.
Vivono soprattutto in quella zona che è al di là della linea di demarcazione sancita dalla sdemanializzazione, che prevede il passaggio nelle mani del Comune di un pezzo importante del Porto vecchio, dal quale sono escluse in pratica la striscia di costa compresi i moli e la zona di Adriaterminal, che restano pertanto sotto la giurisdizione dell’Autorità portuale. La firma era del 2015, il passaggio-simbolo è avvenuto a fine 2016.
«L’area è in corso di consegna, non ancora divenuta formale», precisano dagli uffici comunali. E fintantoché nessuno dirige i giochi, Porto vecchio diventa quasi un invito per chi purtroppo una casa non ce l’ha.
La famiglia di rumeni o bulgari alloggia in una casupola, un tempo appunto usata dagli operatori portuali, con annessa autorimessa e tabacchino, che si trova vicino all’arco d'accesso del Porto vecchio.
Per entrarvi s’infilano nel piccolo spazio che divide l’inferriata che avvolge la casa da un impianto e da un alberello, aprono la grata, la richiudono e poi accedono all’abitazione, dove all’interno hanno sistemato, per quel che si riesce a vedere da fuori, dei letti, compuntamente rassettati, un tappeto, un poster e un orologio che segna l’ora giusta appesi al muro e anche un tavolo utilizzato come cucina.
Proseguendo ancora al di là dell’attuale barriera in ferro si superano edifici come il 16 e il 19, spesso con porte comunque spalancate, e i magazzini 24 e 25, dove avveniva lo scarico degli animali e ancora oggi sono presenti gli abbeveratoi e resti di vero e proprio fieno.
Qui sono ben visibili le tracce dei writer - disegni e bombolette spray -, lattine di birra e una scatola piena di flaconi di amoxicillina triidrato: è il principio attivo indicato per le infezioni batteriche primarie o secondarie di bovini, suini, tacchini, cani e gatti.
E i mici, con tanto di gattara, ci sono ancora. I graffitari in realtà hanno lasciato intonso ben poco di quel milione di metri cubi circa di capannoni. Hanno decorato le “case” di due, tre e più persone che hanno preso residenza negli hangar 33 e 34 (e quelli retrostanti), in passato usati per la preparazione degli elisir al vermut rosso e bianco (lo sanno bene i titolari del liquorificio Piolo&Max che hanno inventato il “Vermut di Porto vecchio”).
Nel silo 34 in particolare ci sono brande, rimasugli di fuochi improvvisati e i mozziconi a non finire. In un anfratto ben nascosto del 33 ci sono gusci di uova, detersivo per i piatti, una padella, bicchieri, una moka, un coltello, piatti di plastica e una scopa.
La dispensa a terra raccoglie paprika, salsa di pomodoro, latte, fagiolini, olio di mais. E ci sono poi bottiglie d'acqua, infradito e tre sdraio con piumini.
Ai piani alti, tra le centinaia di bottiglie consumate di succhi di frutta, vino, alcol, birra, anche vestiti vetusti, scatole vuote di cioccolata, yogurt, tonno, caramelle, sigarette, mozzarelle, c’è anche un quotidiano svizzero: è il "Neue Zürcher Zeitung", e segna la data 24 giugno 2017.
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