Trieste palcoscenico del dualismo duce-vate

Ultimo appuntamento al Verdi de “La Storia nell’arte” con il professor Gentile su Mussolini e D’Annunzio
Di Benedetta Moro
Foto Bruni 10.04.16 Emilio Gentile ospite di Trieste è storia
Foto Bruni 10.04.16 Emilio Gentile ospite di Trieste è storia

Si è conclusa ieri al Verdi con Emilio Gentile, docente emerito alla Sapienza, la terza edizione del ciclo di lezioni “La Storia nell’arte”, organizzato da Editori Laterza con il Comune, Il Piccolo, AcegasApsAmga Gruppo Hera e la Fondazione CRTrieste.

Tema dell’appuntamento dal titolo “Tra Trieste e Fiume” il rapporto tra Mussolini e D’Annunzio, relazione tutt’altro che amichevole, nonostante si potrebbe pensare il contrario. Partendo infatti dal disegno della cartolina di Ezio Anichini sul sesto centenario dantesco del 1921, Gentile, introdotto dal sindaco Roberto Cosolini e dal giornalista de Il Piccolo Alessandro Mezzena Lona, ha raccontato i protagonisti dell’illustrazione, l’Italia tra Dante, a sinistra, e Gabriele D’Annunzio, a destra, che gli poggia la mano mentre Dante la poggia su una lapide che dice “Patria, pace, lavoro”. Anche se, ha avvertito subito lo storico, «in questa lezione ci sarà pochissima arte nel senso figurativo del termine».

Nell’immagine D’Annunzio indica la Dalmazia, Trieste, Fiume, Zara, Gorizia e Trento, sopra le quali volteggia la sua frase “Sereno o torbido, il Carnaro fu sempre per noi sacro mare di Dante». E cosa c’entra Dante con D’Annunzio? «Beh, due grandi poeti della letteratura italiana, o almeno D’Annunzio credeva di essere pari a Dante», racconta Gentile. D’altronde aveva realizzato un’impresa importante tra il 1915 e il 1925, «un decennio nel quale l'Italia attraversa il periodo più grave della sua esistenza come Stato unitario avviato verso la democrazia». Un decennio che ha due protagonisti, il vate appunto e Benito Mussolini.

La storiografia ha insistito nel definire D’Annunzio il Giovanni Battista del fascismo, identificando in questo movimento politico «una trasfusione di ciò che era l’idea di D’Annunzio in una dimensione di massa attraverso un imitatore di D’Annunzio che era Mussolini», così Gentile. E qui bisogna soffermarsi a riflettere. Perché se osserviamo la cartolina, vediamo D’Annunzio con un fascio capovolto come quelli gettati ai suoi piedi, uno dei «misteriosi allusivi significati» di Anichini, un riferimento all'estate del 1921. Il vate non è più comandante a Fiume e nell’Italia del Nord dilaga il fascismo, che ha origine, secondo il socialista Giovanni Zibordi, a Trieste, zona di confine, che rappresenta «una scena fondamentale soprattutto tra il 1915 e 1925».

Ma con quel fascio capovolto si simboleggia un gesto di dispregio, perché questo simbolo dell’autorità e del movimento fascista si trasforma in un bastone per appoggiarsi e quelli a terra sono le insegne dello sconfitto. E Mussolini non c’è nella cartolina, e non è ancora il duce, appellativo con cui invece arditi, reduci e giovani acclamavano allora D’Annunzio e una sua rivoluzione italiana, che tra i diversi obiettivi doveva avere quello di «difendere l'interventismo, la vittoria definita da lui mutilata e conquistare tutte le terre abitate da italiani o che rientrano nella tradizione del dominio italico», spiega Gentile. Tanto che un giovane squadrista indica D’Annunzio quale padre del fascismo. Ma c’è poi un’altra cartolina dello stesso periodo che invece ritrae Mussolini e D’Annunzio, sotto la cui figura compare la scritta “Attende e spera”. Vent'anni di differenza tra i due, da una parte un dandy elegante, e dall’altra un Mussolini pieno di sé: uno combatte, l'altro si ritira dalle trincee. In comune hanno solo Carducci e Nietzsche. Ma non ci sarà mai affinità alla fine tra i due, tanto che, come scriverà Galeazzo Ciano, quando Mussolini parteciperà ai funerali di D’Annunzio, non si dimostrerà proprio commosso. Ed è così che ha concluso Gentile, con tutte le poltroncine rosse del teatro praticamente occupate fino all’ultimo, nonostante la lezione, applaudita per due minuti di fila, sia terminata mezz’ora più tardi del solito. Ora si attendono le prossime idee per la quarta edizione. E chissà che Gentile non ritorni per la terza volta sul palcoscenico del Verdi.

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