Trovata, dopo quasi 100 anni, la tomba del nonno morto in guerra

Le nipoti riuscite nell’intento. Del cormonese Giuseppe Veliscig era sparita ogni traccia nell’autunno ’14. Era deceduto nell’agosto ’17
Gruppo di militari di Dolegna richiamati in attesa di partire per il fronte
Gruppo di militari di Dolegna richiamati in attesa di partire per il fronte

‘Quando nell’autunno del 1914 fu affisso in tutti i paesi dell’impero il manifesto della seconda leva di massa, Veliscig Giuseppe partì da Dolegna del Collio in quanto richiamato si presentò al “Landsturm kommando” Distrettuale, il K.K. Reggimento Landwehr 5° Pola. Era nato nel 1873 ed aveva 41 anni. Non era più una giovane recluta e faceva parte della riserva della leva di massa denominata anche Landstrurm e la seconda leva di massa arruolava i riservisti dal 38° al 42° anno d’età. Diversi furono i richiamati a Dolegna e tutti assieme prima di partire vollero fare una fotografia.

Dal giorno della partenza per la guerra di Giuseppe Veliscig la moglie ed i figli non ebbero più alcuna notizia. Finita la guerra, atteso invano per anni il suo ritorno, nel 1942 il Pretore del mandamento di Cormons fece un atto di notorietà e dichiarò la morte presunta in guerra di Veliscig Francesco. Ciò permise alla vedova di ottenere, dieci anni dopo, una modesta pensione.

Le nipoti, venute a conoscenza delle ricerche che la “Società Cormonese Austria” stava da anni facendo sulla identificazione dei caduti austroungarici della terra isontina, si rivolsero al Presidente Giovanni Panzera per avere un consiglio su come poter avere notizie del nonno presumibilmente deceduto, sul fronte della prima guerra, come soldato austroungarico arruolato nel K.u.K. 97° Reggimento, e del quale nessuno aveva più saputo nulla.

Giuseppe Veliscig
Giuseppe Veliscig

Effettuate alcune ricerche sulle numerose liste i dei caduti, in particolare del 97° Reggimento, acquisite negli anni presso il Kriegsarchiv di Vienna di Veliscig Francesco non era trovata alcuna menzione. Venne quindi consigliato alle nipoti di fare una ricerca presso l’Archivio di Stato di Trieste per poter avere qualche ulteriore informazione soprattutto in che Reggimento aveva combattuto.

Emerse così, dal foglio matricolare, che era stato arruolato nel K.K. Landwehr 5° Pola. Verificando quindi le liste dei caduti di questo reggimento in effetti risultava un caduto, nato nello stesso anno e morto nella stessa data citata nel decreto di pensione.

Restava però la differenza sul nome, veniva riportato Franz e non Giuseppe. Contattate telefonicamente le nipoti si ricordarono che il vero nome di battesimo di Veliscig era in effetti Francesco Giuseppe. Ed infatti a pagina 79 dello Sterbregister del Landwehr-Infanterieregiment Pola Nr. 5/ Schützenregiment Nr. 5 era stato annotato solo il primo nome.

Veliscig Giuseppe non era più un disperso, era morto il 17 agosto 1917, a causa della malaria, a Fieri nel Sud dell’Albania presso il Gebirg-Sanitas-Kol. 14 e lo stesso giorno era stato sepolto sempre a Fieri nel cimitero militare alla tomba n. 417. Era stato uno delle decine di migliaia di prigionieri fatti dai serbi che seguirono l’esercito serbo in ritirata attraverso la Serbia ed Albania per imbarcarsi a Valona ed essere trasferiti al campo di prigionia dell’Asinara in Sardegna.

I viveri di scorta non erano nemmeno per l’esercito, figurarsi per i prigionieri che dovevano camminare a piedi scalzi tra stenti e malattie che imperversano quali il tifo e la malaria. Più della metà morirono, si parla di qualche decina di migliaia, durante la marcia di trasferimento e purtroppo Giuseppe Veliscig fu uno di questi.

La soddisfazione dell’esito della ricerca è una ricompensa morale ai sacrifici che da oltre dieci anni alcuni stanno facendo, nell’indifferenza di molti, per poter dare un nome ed un luogo di sepoltura alle migliaia di nostri caduti per dare alle famiglie, a distanza di quasi cento anni, la stessa possibilità che ora la famiglia Veliscig ha, sapere dove poter porre un fiore per ricordare il proprio congiunto scomparso in quella tragedia che Papa Benedetto XV definì “L’inutile strage”.

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