Uccise l’amante, dopo 12 anni è già in libertà

PALMANOVA. La uccise a fucilate, infilò il cadavere in un sacco e lo gettò in un cassonetto delle immondizie. Quando, a distanza di qualche giorno, fu ritrovato, triturato in mezzo ai rifiuti della...
ANTEPRIMA UDINE 19 DICEMBRE 2001 PROCESSO DI MENNA TELEFOTO COPYRIGHT FOTO AGENCY ANTEPRIMA
ANTEPRIMA UDINE 19 DICEMBRE 2001 PROCESSO DI MENNA TELEFOTO COPYRIGHT FOTO AGENCY ANTEPRIMA

PALMANOVA. La uccise a fucilate, infilò il cadavere in un sacco e lo gettò in un cassonetto delle immondizie. Quando, a distanza di qualche giorno, fu ritrovato, triturato in mezzo ai rifiuti della discarica di Firmano, di quel corpo non erano rimasti che i brandelli. La vittima si chiamava Roberta Budai, aveva 31 anni e abitava a Fauglis di Gonars. Il suo carnefice era - e resta - Felice Di Menna, originario di Sulmona (L’Aquila) e, all’epoca, 37enne e sottufficiale al quarto reggimento “Genova Cavalleria” di Palmanova. Tra i due esisteva una relazione sentimentale. Una storia extraconiugale finita in tragedia nel momento in cui lei, rimasta incinta da lui, regolarmente sposato, aveva deciso di tenere il bambino. Di fronte al rischio di uno scandalo, Di Menna preferì ucciderla. E fare sparire, insieme all’amante, anche il figlio che stava crescendo nel suo grembo. Succedeva l’8 gennaio del 2001. L’assassino, individuato e arrestato quattro giorni dopo, fu processato e condannato a 20 anni di reclusione nel successivo mese di dicembre. Ebbene, a 12 anni dal delitto, uno dei più efferati casi di femminicidio che il Friuli e l’Italia intera ricordino, Di Menna è di nuovo un uomo libero. Scontata sì e no la metà della pena che gli era stata inflitta, a 48 anni è già fuori dal carcere e ha ancora una vita spalancata davanti a sé. La famiglia Budai, invece, non ha più smesso di piangere. Chiusa in un dolore inconsolabile, non potrà mai riabbracciare la sua Roberta. E dei 600 mila euro di risarcimento danni che il tribunale le riconobbe, finora non ha visto nemmeno un centesimo. Né, forse, li vedrà mai. In una lettera ricevuta qualche anno fa, Di Menna è stato formalmente dichiarato dal proprio legale un «nullatenente». Un calvario senza fine. È stata la notizia, l’ennesima purtroppo, dell’omicidio di una donna per mano di un uomo, a scuotere ancora una volta l’animo già di per sè prostrato della famiglia Budai. L’assurda fine di Silvia Gobbato, la praticante legale di 28 anni accoltellata lungo l’ippovia del Cormor il 17 settembre scorso, ha riaperto la piaga e spinto i genitori e, ancor di più, il fratello di Roberta a rompere il muro di silenzio dietro il quale si erano rifugiati e gridare il proprio sdegno per una giustizia che non punisce come dovrebbe. A parlare per i parenti è l’avvocato Antonio Di Piazza, al loro fianco fin dal 2001 con il collega Lillo Fiorello, del foro di Palermo. «È una follia pensare che l’uomo che uccise Roberta e che riuscì a schivare l’ergastolo sia già libero - afferma -. Ed è tremendamente triste constatare come, oltre a non avere mai chiesto scusa alla famiglia, che prima dell’omicidio frequentava abitualmente per la sua relazione con Roberta e per l’amicizia con il fratello, l’assassino non abbia versato neppure una parte del risarcimento. È ovvio, nessuna cifra potrà mai restituire Roberta ai suoi cari, né riportare la pace in quella casa. Ma se è vero, come ci è stato comunicato, che Di Menna risulta nullatenente, allora si dovrebbe pretendere almeno che resti dentro a pagare il suo debito con la giustizia. E invece, in questo modo, la famiglia Budai è costretta a subire oltre al danno anche la beffa».

Luana de Francisco

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