Un 2 giugno tra secessionisti e immigrati

«Il livello di benessere di cui ha goduto questa città rischia di andare perduto senza l’impegno collettivo e in sinergia tra associazioni datoriali, sindacati dei lavoratori, famiglie e istituzioni, che potrebbe disgregare la coesione sociale e la sicurezza pubblica». È articolato e partecipe il discorso ufficiale che il prefetto di Trieste Francesca Adelaide Garufi tiene ai piedi dei pili di piazza dell’Unità d’Italia, le grandi bandiere del Tricolore e della città alabardata scosse dalle raffiche di vento.
Rifacendosi alle parole del capo dello Stato, lette poco prima, il commissario di governo del Friuli Venezia Giulia prendendo spunto dal Centenario della Grande guerra tocca i temi dell’attualità legandoli alla storia e ai valori della Repubblica. Spazio quindi ad ammonimenti anti indipendentisti e ai riferimenti alla crisi economica, all’arrivo delle migliaia d’immigrati dal mare e sul Carso, alla riforma della pubblica amministrazione. «Della Prima guerra mondiale non bisogna ricordare solo i lutti, i sacrifici e gli eroi - ammonisce il prefetto - ma anche che è stata la prima esperienza collettiva del popolo italiano. L’unità da semplice concetto astratto divenne realtà. Questa eredità preziosa non deve essere posta in dubbio da spinte secessioniste o disgregatrici, che sono anacronistiche non solo rispetto all’Italia unita ma anche all’Europa unita». Un avvertimento superfluo per più di qualche anziano, ma anche di un paio di mamme con bambini, che si erano alzati dai tavoli dei bar alle note dell’Inno di Mameli, proponendolo anche ai piccoli. In una piazza decisamente più affollata che nelle ultime analoghe occasioni, vuoi per gli sbandieratori di Parma o per la Fanfara dei bersaglieri della Brigata Ariete esibitisi prima della cerimonia. E se la massiccia ondata di stranieri per Garufi ci rimanda al concetto della «sacralità della persona, la crisi economica e finanziaria non deve essere pretesto per il disimpegno di fronte alle sfide di oggi». E ciò vale anche per «le amministrazioni pubbliche, centrali e periferiche, chiamate a una razionalizzazione che non sarà arretramento». La Prefettura «continuerà a fungere da snodo».
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