Un paradosso dietro la frase «Liberi tutti!»

TRIESTE La frase «liberi tutti!» sembra avere ormai perduta quella inflessione preoccupata con la quale veniva pronunciata all’inizio della fase 2 del contagio. «Attenzione a non correre troppo!», ripetevano gli esperti e quei governanti che credevano importante ascoltarli, indicando il rischio, anzi il pericolo di abbandonare troppo in fretta le cautele che avevamo fatte nostre nella fase precedente, e di esporci così a un possibile e probabile rinfocolarsi del virus. Il rischio rimane, ma non si poteva più contenere la voglia di uscire all’aperto e l’esigenza di rimettere in moto la macchina sociale e il mondo del lavoro: un desiderio di vacanza mescolato al bisogno di rimontare la cascata della crisi.
Penso che sia opportuno riflettere su questo “liberi tutti!” che conserva quasi un sapore da gioco infantile, e che forse viene reclamato proprio dal bambino che continua a vivere dentro di noi.
Comincio con l’osservare che l’accento cade sul “tutti”, dando per scontato il significato del “liberi”. L’essenziale sembrerebbe che la liberazione non escluda nessuno, anzi che l’apertura riguardi per intero la nostra vita quotidiana in ogni suo gesto. Tra nessuno e niente c’è una grande differenza: che tutti siano resi liberi magari ci importa fino a un certo punto, quello che ci preme è che i “nostri” vincoli, dalla difficoltà di spostarci al fastidio di indossare le mascherine, vengano allentati per potere finalmente tornare a essere “normali”.
Se in quel “tutti” si nasconde un piccolo equivoco (che poi tanto insignificante non è), quanto alla “libertà” sembra che ci intendiamo perfettamente. Ma è proprio così? Certo, grosso modo ci capiamo benissimo: via i divieti, ciò che non potevamo fare, via l’obbligo di comportamenti prefissati. Tutto chiaro, che cosa resta da scoprire? Beh, resterebbe solo da fare un po’ di luce su quale libertà abbiamo in testa. Eccolo lì – mi pare di sentir dire – arriva il filosofo a tenerci una lezioncina. Il lettore si tranquillizzi: odio le lezioncine, detesto chi me le propina e mi faccio pena quando scopro – per deformazione professionale – di essere io a tenerle.
Voglio soltanto insinuare che, quando diciamo “libertà”, abbiamo in mente uno schema alquanto pregiudiziale e molto angusto. E magari invitare a verificare che la libertà viene di solito trattata come qualcosa di abbastanza vago, mentre è un problema decisamente complicato. Basterebbe che riuscissimo a mettere a fuoco il fatto che tra il credere di essere liberi e l’esserlo effettivamente si apre una sorta di voragine. Mi pare fuori discussione il constatare che la libertà, che innalziamo quasi fosse una bandiera personale, è soprattutto una nostra costruzione mentale. Nostra? E se invece risultasse da una quantità di apporti artificiali che ci arrivano dall’esterno?
Nessuno ha ovviamente voglia di ammettere che la sua idea di libertà è importata dai dispositivi sociali con i quali convive. Vorrebbe dire riconoscere di essere soggetti passivi, esposti all’aria che tira, alle ideologie che soffiano su di noi da ogni dove, e insomma che le nostre idee – compresa quella di libertà – sono molto meno nostre di quanto ci illudiamo. Eccoci finalmente “liberi”! Chiediamoci: per fare cosa, quali riempimenti diamo a questa parola, quali di questi contenuti sono “veramente” farina del nostro sacco? Ognuno, se vuole, può rivolgere a sé stesso simili dubbi e fare una verifica personale.
La conclusione alla quale arriviamo, se abbiamo interesse a un simile esercizio, più che soltanto deludente è davvero paradossale. Non credo che nessuno provi piacere nello scoprire che la libertà cui anela è in buona parte indotta dall’ambiente sociale dentro cui trascorre le sue giornate, con tutti gli input che gli attuali dispositivi digitali (per fare l’esempio più vistoso) gli trasmettono. Ci difendiamo illudendoci che ciascuno si sente libero di scegliere e di decidere, ma poi ci crediamo? Ne dubito.
L’aspetto paradossale consiste, a mio parere, proprio nel fatto che da una parte siamo smagati e dunque delusi, anche se continuiamo ad alzare la posta (quanto ai beni-simbolo di un’apparente libertà), e dall’altra seguitiamo quasi ciecamente ad affidarci a un’idea di libertà che alla lettera non conosciamo ma che non vogliamo a nessun costo abbandonare.
«Liberi tutti!» può così avere su di noi una strana risonanza: farci sentire, nell’euforia rischiosa dell’«adesso tutto è permesso», la nota un po’ stonata del «nessuno è davvero libero». In effetti nessuno sa di preciso in cosa consista una libertà autentica. –
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