Unioni dei Comuni: aut aut della Regione

La sfera di cristallo non esiste. Nemmeno a Palazzo. Difficile quindi dire quanto tempo impiegheranno sindaci e amministratori del Fvg a comprendere, metabolizzare e rendere operative fino in fondo tutte le linee d’azione che compongono la riforma degli enti locali, quella che spinge sulle aggregazioni tra Comuni, prepara il terreno alla scomparsa delle Province e riorganizza a tutti i livelli la macchina amministrativa.
Debora Serracchiani e Paolo Panontin, però, una certezza ce l’hanno. Laddove i territori, chiamati a partecipare come «protagonisti» e non da semplici comparse, a questa «rivoluzione culturale», non dovessero rispondere adeguatamente, interverrà la Regione. Lo farà in nome di uno dei principi cardine della legge: il «potere sostitutivo». Un meccanismo per cui, in presenza di indecisioni o resistenze, sarà la Regione stessa a imprimere l’accelerazione richiesta. Formula che scatterà solo nei casi in cui l’autodeterminazione dei territori non dovesse individuare soluzioni, ma che comunque, nell’idea della giunta, toglierà ogni alibi. «Perchè questa volta - chiarisce la presidente - bisogna cambiare. E bisogna farlo bene».
Gli strumenti
Per “invogliare” gli amministratori a seguire la direzione tracciata, la riforma mette in campo gioca anche un’altra carta di peso: la leva finanziaria. «Abbiamo deciso, volutamente forzando un po’, di assegnare i trasferimenti ordinari non più ai singoli Comuni bensì alle loro Unioni - spiega l’assessore alle Autonomie -. Chi rimarrà fuori dalle aggregazioni, dunque, avrà delle penalizzazioni sull’ordine del 30% dei fondi attesi». «Fondi peraltro - ricorda la governatrice - sensibilmente superiori rispetto a quelli assegnati ai Comuni delle Regioni a statuto ordinario: in media, secondo quanto certificato dalla Corte dei conti, più alti del 18%. È chiaro quindi che finchè ricevono risorse abbondanti, i territori stanno sufficientemente bene da non avvertire l’esigenza di unirsi. Ma nel momento in cui le risorse calano, e inizi ad essere avvertita l’esigenza di rivedere i contratti, ridurre le spese e riorganizzare i servizi, a quel punto mettersi insieme diventa una necessità».
Il riassetto
Fare squadra con altri Municipi affini per dar vita alle Unioni dei Comuni (che, come noto, dovranno contare una popolazione non inferiore ai 40mila abitanti, e saranno obbligatorie per le realtà sotto i 5milabitanti in pianura e 3mila in montagna), secondo la giunta avrà poi un altro tipo di vantaggio. «Abbiamo eliminato tutte le criticità della norma precedente, la cosiddetta legge Iacop, che si era rivelata non efficace - continua Panontin -. Prima erano previste forme convenzionali libere su base volontaria, che dipendevano in tutto e per tutto dalle scelte del Comune capofila. Un sistema che portava i “piccoli” a sentirsi penalizzati, e il “grande” a guardare gli altri con sospetto. Ora invece l’Unione è un ente locale a tutti gli effetti con personalità giuridica, in cui ogni Municipio da un lato mantiene identità e autonomia, dall’altro guadagna in economia di scala, efficienza dei servizi e snellimento amministrativo».
Le ricadute sui cittadini
I vantaggi che dall’aggregazione trarranno i sindaci, arriveranno a caduta anche sui cittadini. Con effetti sempre più evidenti man mano che l’operazione, per usare le parole di Serracchiani, «entrerà nella carne viva dell’attività dei Comuni». «Cosa cambierà all’atto pratico per i residenti? Un solo esempio: la standardizzione delle procedure amministrative. Oggi - precisa la governatrice - un cittadino che si rivolge a uno sportello, si sente chiedere cose diverse a seconda dei Municipi: da uno la dichiarazione di inizio attività, dall’altro una semplice raccomandata; qui le pratiche si evadono in 60 giorni, lì in 90 e via dicendo. Con la riforma queste schizofrenie - , particolarmente evidenti se si pensa al modo in cui due Comuni confinanti gestiscono in maniera opposta questioni come il posizionamento delle antenne o la creazione di discariche -, non ci saranno più. Anche perchè la Regione, a differenza di quanto avveniva prima, darà un indirizzo comune a tutti».
I risparmi
A regime, poi, la riforma porterà i Comuni a gestire in maniera condivisa servizi come la raccolta rifiuti, i trasporti, la polizia locale ma anche la programmazione e la pianificazione territoriale (funzioni che la legge elenca in maniera puntuale, stabilendo anche i tempi dell’operatività, anche alla luce del progressivo trasferimento delle competenze delle Province ormai vicine all’addio), con contenimento dei costi, vista la possibilità di rivedere contratti e forniture a prezzi più vantaggiosi, e efficientamento dei servizi. Ma a questi risparmi “micro”, se ne aggiungeranno altri “macro”, che si faranno sentire sull’intero sistema regionale.
«Dal progetto sperimentale del centro paghe unico per l’intero comparto pubblico contiamo di risparmiare 1,6 milioni. Altri 4,5 milioni di risparmio arriveranno dalla Cuc, la centrale unica di committenza, che assicurerà acquisti e forniture a tutti gli enti locali, come accadrà nella sanità - aggiunge Panontin -. Il taglio delle spese per le indizioni delle elezioni provinciali vale poi 530mila euro l’anno per cinque anni, mentre la definitiva abolizione degli enti intermedi, con il venir meno delle loro funzioni generali di gestione, amministrazione e controllo, ne vale addirittura 22,6». In termini finanziari insomma, assicurano Serracchiani e il suo assessore, l’operazione sarà conveniente. Oltre che, del resto, inevitabile. «Perchè non potevamo più stare a guardare - conclude la presidente - mentre tutto il resto del Paese, su questo fronte, sta cambiando».
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