Viaggio nei ruderi del parco Basaglia

Sono passati cinquant’anni. Sembrano essere trascorsi anni luce. Era il 1962 quando Franco Basaglia, dopo alcuni soggiorni all’estero (fra cui la visita alla comunità terapeutica di Maxwell Jones), avviò insieme ad Antonio Slavich la prima esperienza anti-istituzionale nell’ambito della cura dei malati di mente. In particolare, egli tentò di trasferire il modello della comunità terapeutica all’interno dell’ospedale, dando inizio a una vera e propria rivoluzione. Vennero eliminati tutti i tipi di contenzione fisica e le terapie elettroconvulsivanti (elettroshock).
Sono passati cinquant’anni. E a ricordare, a Gorizia, la figura dello psichiatra e neurologo originario di Venezia c’è il parco retrostante alla palazzina principale dell’ex Opp. Dovrebbe essere tirato a lucido, non foss’altro per il fatto che quella è un’area che ha segnato la storia della psichiatria italiana. Invece, la vegetazione (assolutamente curata, sarebbe ingeneroso dire il contrario) nasconde il degrado di quella che un tempo fu la “palestra” basagliana: palazzine abbandonate, degradate, abitate dai piccioni, sfasciate, maltrattate dalle intemperie e dall’incuria. E non si può nemmeno dire, a giustificazione, «non lo sapevo» perché, a pochi passi, ci sono gli uffici dirigenziali dell’Azienda sanitaria isontina. Basta svoltare l’angolo (nel vero senso della parola) per trovarsi davanti una situazione imbarazzante, con ammassi di immondizie e intonaci che crollano.
Sono passati cinquant’anni. E Basaglia, probabilmente, si rivolterà nella tomba, vista l’«attenzione» che Gorizia sta prestando alla sua figura. Ci fu anche un ordine del giorno qualche tempo fa in Consiglio comunale che chiedeva di potergli dedicare una via: passò, ottenne i voti necessari per essere approvato ma di via Basaglia non c’è nemmeno... l’ombra. Problemi tecnici, dicono. Niet. Ma iniziamo il nostro viaggio in via Vittorio Veneto. Sono le 8.30 di ieri, sabato. La giornata è soleggiata e nel giardino si vedono passeggiare alcuni pazienti del Sert, oltre ad una giovane assieme al suo cagnolino. La sede dell’Ass isontina è inattaccabile: rifatta da poco, pulita, in ordine. Nella palazzina alla sua destra inizia il degrado. Si scopre che in quello stabile era ospitato l’Archivio generale. Da una delle finestre (è miracolosamente intatta) si scorgono gli scaffali suddivisi anno per anno. Sopra, c’è qualche cartella. Non saranno mica documenti medici lasciati lì, abbandonati? Ci auguriamo di no. Noi non possiamo appurarlo. La struttura è chiusa e nessuno può accedervi se non ha la chiave. I piccioni, chiaramente, non hanno bisogno di autorizzazioni: attraverso una finestra (aperta e sfasciata) posta all’ultimo piano entrano ed escono a loro piacimento. Infatti, dentro si scorge guano dappertutto.
Sono passati cinquant’anni. E all’interno della medesima palazzina si scorge ancora l’impianto caldaie e quella che, presumibilmente, era la zona docce. Tutti i sanitari sono sfasciati, a pezzi, inservibili. Viene la pelle d’oca pensare che probabilmente lì i “matti” venivano sottoposti a getti d’acqua ghiacciata secondo i dettami “curativi” dell’epoca, pre-basagliani. Fortuna che alcune cooperative hanno sede in quella zona: hanno contribuito a strappare al degrado edifici che, altrimenti, sarebbero oggi nelle medesime condizioni del vecchio Archivio generale.
Sono passati cinquant’anni. E forse da due o tre anni nessuno viene a raccogliere quei sacchi di immondizie ormai impolverati. Ci sono anche batterie d’auto accatastate, classificate come rifiuti speciali, imbottiti di acidi, pericolosi. È mai possibile che nessuno si sia accorto che sono stoccati lì? Verrebbe da dire: «Mandiamo l’Ass». Ma l’Ass è già lì! Basterebbe aprire gli occhi. Qualcuno, poi, deve essersela presa con un rotolo di carta per computer, i vecchi computer. Ci sono fogli bianchi dappertutto: nel giardino, sotto il porticato, sui marciapiedi. È il tramonto della rivoluzione.
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