Visinada e la ferita di casa Maraston

Ospita la sede della Comunità degli italiani restaurata da Roma. La famiglia: «Speravamo in un invito»

TRIESTE. “Felice Maraston fece fare 1878”. La scritta incisa su pietra d’Istria fa bella mostra all’ingresso dell’edificio a tre piani, restaurato con fondi del governo italiano, che ospita la moderna sede della Comunità degli italiani di Visinada. Ma quella casa ha una storia impressa nella pietra e ancora qualche rivendicazione, almeno dal punto di vista affettivo, da parte dei discendenti dei Maraston.

«Vedere quella casa, che mio padre amava così tanto, ristrutturata con oltre mezzo milione di euro versati dall’Italia fa un certo effetto. Ospita le iniziative della Comunità degli italiani, di questo sono contenta, ma c’è anche tanta amarezza...» ammette Flavia Maraston. Già i Maraston, una famiglia italiana scappata come molte da Visinada alla fine della guerra, dopo l’arrivo dei partigiani di Tito, e dispersa dall’esodo in Italia e negli Stati Uniti. Il capostipite era il bisnonno Felice, che fece costruire quella casa colonica, poi nonno Gregorio, podestà di Visinada, fino al figlio Ferruccio partito assieme ai suoi due fratelli. Tre storie sparse fra Bologna, Napoli e New York, quella dei fratelli Maraston, seguiti solo nel 1954 dai genitori rimasti attaccati fino all’ultimo a “Casa Maraston”, riempita di scritte filo-titine e in realtà ridotta solo a qualche stanza dopo le confische jugoslave. Gli “optanti” Maraston persero così anche l’ultimo pezzetto della loro casa, per trasferirsi dalla terra rossa d’Istria a quella di San Quirino nella provincia di Pordenone. In Italia.

Visinada? Un ricordo del passato, fino a un certo punto. Perché l’istriano Ferruccio e la bolognese Elisa - assieme alle loro figlie piccole, fra cui Flavia, stabilitisi a Pordenone - scelsero di tornare nell’entroterra parentino con assidui pellegrinaggi iniziati negli anni Settanta. Un richiamo troppo forte, prima guardando l’edificio ormai decadente solo dall’esterno e poi la scelta di entrare a “Casa Maraston”. Sotto sotto sperando un giorno di riaverla, fra carte bollate e richieste di indennizzo sulla questione dei beni abbandonati. «Entrai con mio padre, salii le scale e bussai alle porte spiegando chi eravamo. Non tutti aprirono, allora sbirciai dal buco della serratura - ricorda Flavia - per vedere le stanze della mansarda dove c’erano un sacco di libri e mobili accatastati».

Nel 2011 la morte di papà Ferruccio, seguito un anno dopo da mamma Elisa, e la decisione di prendere contatto con il parroco di Visinada, per celebrare una messa e regalando alla chiesa un calice con inciso il nome dei Maraston. E il passo successivo: contattare la Comunità degli italiani di Visinada, fondata nel 1992, che conta 300 soci. Guardando sul sito e anche recandosi in paese per seguire i lavori di restauro di “Casa Maraston”. Un cantiere - pagato dal governo italiano con due stanziamenti di 200mila e 380mila euro, per la ricostruzione e messa in sicurezza del palazzo - destinato a ospitare la nuova sede da 350 metri quadrati. Al taglio del nastro del dicembre scorso c’erano tutti, dall’ex presidente croato Ivo Josipovi„ ai rappresentanti dell’Unione italiana e dell’Università popolare, ma non i Maraston. «Avevamo chiesto di poter essere presenti - racconta Flavia - ma alla fine nessuno ci ha invitati. Sarebbe stato un bel gesto».

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