1954 - 2024, ecco il cammino che settant’anni fa riportò Trieste all’Italia
Dal 1943 al 1954 la città visse anni di incertezze e conflitti. Il Memorandum di Londra segnò l’inizio di un’epoca nuova
Il settantesimo anniversario del ritorno di Trieste all’Italia rievoca un momento di intensa gioia per la nazione italiana. Anni di ansie, lutti e sofferenze si conclusero con la riapparizione del tricolore d’Italia sul palazzo del Municipio della città giuliana e sui pennoni della Piazza dell’Unità d’Italia, la domenica del 26 ottobre 1954, davanti a una folla oceanica e commossa malgrado la pioggia.
Quale fu, tuttavia, l’insidioso percorso diplomatico che permise il ritorno di Trieste all’Italia? Quanto lungo e penoso fu il purgatorio che la città dovette affrontare prima di ritrovare il suo posto in seno alla madrepatria italiana?
Fin dai secoli precedenti la città fu permeata da una prevalente cultura italiana. Quando, nel corso del XIX secolo, la costituzione dello stato italiano alimentò sentimenti di passione patriottica, soprattutto in quei territori che ancora non erano stati inseriti nel regno di Casa Savoia, Trieste diventò sede di fermenti irredentisti e manifestò una volontà crescente di unirsi alla madrepatria italiana.
Guglielmo Oberdan fu il maggiore indicatore di tale attesa. Il sogno divenne realtà con la vittoria nella Prima guerra mondiale e con le decisioni prese con la firma del Trattato di Rapallo, il 12 novembre 1920.
Le vicende della Seconda guerra mondiale, tuttavia, rimisero drammaticamente in discussione l’appartenenza di Trieste all’Italia: dal 1943 al 1954 la città visse anni di profonde incertezze, di contrasti, di conflitti.
Il controllo tedesco fra il 1943 e il 1945 ridusse palesemente la sovranità italiana della città, esposta all’incipiente minaccia da parte delle popolazioni jugoslave che, da oriente, conducevano la loro battaglia contro l’Italia e contro la Germania.
L’arrivo delle forze combattenti partigiane jugoslave, il 1° maggio 1945, sottrasse il controllo della città ai tedeschi e precedette di poche ore l’arrivo delle forze alleate anglosassoni.
I 42 giorni di occupazione jugoslava, fra il 1° maggio 1945 e il 12 giugno 1945, corrisposero al momento più tetro per la città: vendette, deportazioni, violenze contro la popolazione italiana si tradussero anche con i massacri nelle foibe carsiche e con la morte di migliaia di cittadini triestini e giuliani, che si andavano ad aggiungere agli istriani, quarnerini e dalmati, anch’essi vittime di violenze simili nel periodo finale della seconda guerra mondiale.
Ansie, angosce, terrore, smarrimento, disperazione, dolore, lutti in seno alla popolazione civile: quale sarebbe stato il destino ultimo della città? Cosa avrebbero deciso i Paesi vincitori della seconda guerra mondiale?
La partenza delle forze jugoslave da Trieste, il 12 giugno 1945, dopo l’ultimatum inviato dal Presidente degli Stati Uniti d’America Harry Truman nel maggio 1945, indicò che i Paesi anglosassoni non erano disposti a permettere alla nuova Jugoslavia socialista di Tito di annettere Trieste, il cui porto era certamente prezioso per garantire l’approvvigionamento delle truppe di occupazione francesi, inglesi e statunitensi in Austria e in Germania. Le truppe jugoslave si spostarono pertanto a est della Linea Morgan, cioè a est di Muggia.
Fra il 1945 ed il 1947 il governo provvisorio italiano, diretto da Alcide De Gasperi, cercò in tutti i modi di limitare i danni per l’Italia, dopo una guerra perduta, ma le decisioni vennero prese dalle potenze vincitrici. La Jugoslavia di Tito, sostenuta dall’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche di Stalin, voleva stabilire il nuovo confine sul fiume Isonzo, annettendo quindi Gorizia, Gradisca, Monfalcone, Trieste, tutta l’Istria, il Quarnero e la Dalmazia.
I Paesi anglosassoni furono più generosi con l’Italia e proposero di lasciarle la costa istriana (con Pola, Rovigno, Parenzo, Capodistria) e la Venezia Giulia (con Trieste, Duino, Monfalcone, Gradisca e Gorizia), cedendo agli jugoslavi solo l’Istria interna, oltre a Quarnero e Dalmazia. Le posizioni furono troppo distanti per giungere a un accordo.
Occorreva un compromesso straziante. Lo proposero i francesi, con Georges Bidault: tutta l’Istria alla Jugoslavia, fino al fiume Quieto. Il confine italiano fino al fiume Timavo.
In mezzo sarebbe stato creato un Territorio Libero di Trieste, diviso in due zone, la Zona A e la Zona B, il quale avrebbe dovuto essere amministrato da un governatore nominato dalla neocostituita Organizzazione delle Nazioni Unite. Queste furono le decisioni finali espresse dal trattato di pace, firmato il 10 febbraio 1947, che sancirono la perdita definitiva da parte dell’Italia dei propri territori orientali e diedero inizio al doloroso esodo degli italiani d’Istria, Quarnero e Dalmazia.
Il destino di Trieste rimase in sospeso, confinato nel limbo di una zona grigia, che avvilì nuovamente la popolazione civile: Trieste non aveva più un’identità nazionale, malgrado fosse in grandissima maggioranza italiana: era una città internazionale, una sorta di area apolide, ibrida, relegata nei sottoscala della Storia, negletta e sconsolata.
La Zona A del Territorio Libero di Trieste, che comprendeva la città di Trieste, venne affidata all’amministrazione provvisoria anglo-statunitense, cioè al Governo Militare Alleato, che sarebbe dovuto rimanere in vigore fino all’arrivo di un governatore nominato dalle Nazioni Unite, il quale non sarebbe mai stato nominato per effetto della Guerra Fredda fra est ed ovest.
Fra il 1947 e il 1954 iniziò un nuovo capitolo per la storia del capoluogo giuliano. Dopo la proclamazione della Repubblica Italiana, nel 1946, e la costituzione di un governo legittimo, all’indomani delle prime elezioni democratiche del 18 aprile 1948, l’Italia si volse a occidente, stabilì relazioni privilegiate con gli Stati Uniti d’America, utilizzò i fondi del Piano Marshall per avviare il miracolo economico, aderì all’Alleanza Atlantica nel 1949 e sostenne il processo di integrazione europeo dal 1950.
Ma ciò non fu sufficiente per convincere gli alleati occidentali a restituire il Territorio Libero di Trieste all’Italia: la Jugoslavia di Tito, fin dal 1948, aveva rotto i propri legami con l’Unione Sovietica e divenne un obiettivo di seduzione diplomatica per l’Occidente. Non si poteva accontentare l’Italia poiché ciò avrebbe allontanato la prospettiva di mantenere rapporti cordiali con chi, come Tito, aveva avuto il coraggio di contrastare Stalin.
Il viaggio di De Gasperi a Washington, nel 1951, non produsse i risultati sperati: la controparte statunitense non era disposta a sbilanciarsi per favorire le rivendicazioni italiane su Trieste.
Il calvario della città proseguì fino al 1954. Gli scontri del 5 e 6 novembre 1953 davanti alla Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo, a Trieste, sbloccarono la situazione: i sei caduti italiani per mano della polizia britannica suscitarono un’emozione profonda a Trieste, che partecipò in massa ai funerali e comunicò al mondo la sua incrollabile volontà di essere italiana.
Ciò indusse l’Occidente a maturare la decisione di trasmettere l’amministrazione della Zona A del Territorio Libero di Trieste (cioè la città di Trieste) alla Repubblica Italiana, con il Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954. Fu la fine di un incubo per la città e la felice palingenesi di un’epoca nuova, battezzata dalle lacrime di gioia della popolazione triestina. Non si può dimenticare. —
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