Paolo Fresu presenta “Food”: musica, cibo e messaggi sociali nel nuovo progetto con Omar Sosa

Il trombettista sardo torna a Udine con un concerto multisensoriale che unisce jazz, suoni di cucina e riflessioni sulle disuguaglianze globali

 

“Food” è il terzo capitolo di una trilogia firmata da Paolo Fresu (tromba, flicorno, effetti) con Omar Sosa (pianoforte, effetti), il precedente “Eros” era stato presentato in prima mondiale a Udin&Jazz nel 2016, ora il festival di Euritmica li ospita con il nuovo lavoro oggi, lunedì alle 21.30 nel Piazzale del Castello di Udine.

Una performance che non è un semplice concerto jazz ma un percorso multisensoriale in cui musica, etica e cultura si intrecciano. «Sono contento di tornare a Udin&Jazz – dice Fresu –, Udine è sempre nel mio cuore come il Friuli in genere, ci sono stato da poco con lo spettacolo “Kind of Miles” ma è la prima volta che portiamo da quelle parti “Food”, un progetto totalmente diverso».

Di cosa si tratta?

«Un concerto “pop” per la sua impostazione, ha una marcia diversa rispetto ai miei lavori più jazzistici e tradizionali».

Quella con Sosa è una lunga collaborazione. Quando vi siete incontrati?

«In realtà non ce lo ricordiamo. Penso siano passati 25 anni. Ci siamo intravisti una volta in Lettonia, poi in Spagna. Finché l’ho invitato al mio festival e ha fatto un concerto in piano solo in una chiesetta di campagna, io ero posizionato sopra un albero e suonavo il flicorno, fu un momento molto bello e nacque l’idea di suonare assieme».

Il primo concerto in duo?

«All’Isola d’Elba. Da lì è diventato un progetto stabile, con tanti concerti in giro per il mondo, Italia, Europa, Usa, Giappone, Sud Africa. E tre dischi all’attivo: “Alma”, “Eros” e “Food”, ciascuno segue un tema».

In “Food” il cibo viene visto anche come una metafora del dialogo tra i popoli?

«È un’indagine sul mondo dell’enogastronomia, una riflessione sul tema del cibo che racconta l’inequità del nostro pianeta, di cui non si parla abbastanza. Lanciamo un messaggio politico, non è solo una riflessione sul senso del gusto e del buon vivere, all’inizio c’è una frase di Pertini “Si svuotino gli arsenali e si riempiano i granai”. Quando abbiamo deciso di registrare il terzo disco ci trovavamo a tavola, siamo due musicisti che viaggiano tanto, amano l’idea della scoperta attraverso il cibo, il buon vino. Un anno prima di entrare in studio abbiamo registrato in giro per l’Italia e Francia i suoni delle cucine, abbiamo fatto tappa anche Alla Vedova di Udine, il rumore delle braci nel disco viene da lì».

Che altro avete campionato?

«Suoni dei cristalli dei bicchieri, dell’olio che sfrigola, le voci dei ristoratori, la preghiera di un novantenne negli Stati Uniti che ringrazia Dio prima di sedersi a tavola, un sardo del mio paese che declama una ricetta di una zuppa berchiddese, la voce di un cubano che vende il torrone per strada. Su questi suoni abbiamo depositato le musiche che avevamo scritto a quattro mani. Ci sono tanti ospiti: Jaques Morelenbaum, Indwe, il rapper americano Kokayi, Cristiano De André che canta un brano scritto dal padre».

Come lo rendete dal vivo?

«Sul palcoscenico parliamo, raccontiamo, siamo in due ma è come se fossimo una grande orchestra, è un buon mix tra suono acustico ed elettronica, con voci registrate, sampler e un impianto scenico inusuale, con proiezioni a tema».

Si rivolge a un pubblico attento ai temi sociali?

«È un momento molto difficile, non solo per i conflitti (anche quelli più lontani di cui non si parla mai). Credo che la musica non possa stare in silenzio. Tutti abbiamo una responsabilità importante. Chi tace diventa complice. Qualcuno pensa che dovrei limitarmi a suonare la tromba, ma per me è una questione di umanità».

C’è un cambio di programma per l’evento delle 19 nella Corte di Palazzo Morpurgo. In sostituzione del Trio Osaki, a esibirsi sarà l’Organ Madness Trio: Daniele Dagaro (sassofoni), Mauro Costantini (organo Hammond) e U.T. Gandhi (batteria).

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