«A Juliette Binoche ho insegnato in Sicilia le battute dell’Attesa»

Marina Benedetto, di origini triestine, è “Dialogue Coach” degli attori. «Adesso lavoro nel nuovo film di Piero Messina»
Di Beatrice Fiorentino
"L'Attesa" di Piero Messina
"L'Attesa" di Piero Messina

TRIESTE. Dopo essersi diplomata al Liceo Petrarca e aver conseguito una laurea in Economia e Commercio qui a Trieste, Marina Benedetto, romana di nascita, giuliana di adozione, ha deciso di seguire la sua passione per la recitazione e partire alla volta di Parigi per studiare alla scuola d'arte drammatica Théâtre Ecole du Passage, conseguendo una License in "Etudes Théâtrales" presso l'Università Sorbonne Nouvelle.

È proprio nella capitale francese che oggi risiede, ma il suo lavoro la porta spesso in Italia, a Roma e anche a Trieste, dove torna a trovare la madre che dal 1970 vive in città dopo essersi trasferita con il marito e i due figli. Marina Benedetto è un'attrice di formazione, ma oltre a recitare nel cinema e a teatro fa la “Acting and Dialogue Coach”: con la sua impeccabile dizione insegna ad altri attori, soprattutto stranieri ma non solo, a recitare correttamente le battute segnate sul copione. E non è solo una questione di pronuncia, ma - spiega - di "musicalità delle emozioni". «Il talento di un attore - prosegue - non viene intaccato dalla lingua straniera, ma l'espressività sì. Lo stupore, il dolore, la gioia hanno un suono diverso a seconda della lingua e questo va insegnato. Quello del Dialogue Coach è un ruolo importante perché un'espressione pronunciata in maniera bizzarra distrae dall'emozione che l'attore in quel momento sta cercando di trasmettere».

Qualche nome dei suoi "allievi" più famosi? Valerio Mastandrea, Elio Germano, Sandra Ceccarelli, Fanny Ardant, Barbora Bobulova, Anne Parillaud, Ksenia Rappoport, Zoé Felix. A questo elenco si è aggiunta recentemente l'attrice francese Juliette Binoche, premio Oscar nel 1997 come migliore attrice non protagonista ne "Il paziente inglese" e oggi tra le due interpreti principali del film "L'attesa" di Piero Messina, tra poche settimane in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Interpreta il ruolo di Anna, una donna, una madre, che assieme a Jeanne, fidanzata del figlio Giuseppe, ne attende il ritorno nell'entroterra siciliano. «Lavorare con Juliette Binoche mi ha arricchito sia umanamente che professionalmente - racconta Benedetto -. È un'attrice dal talento smisurato e di indescrivibile rigore artistico, sempre concentratissima sul set. Un giorno, prima di pranzo eravamo sedute a un tavolo e stavamo provando alcune battute di una scena drammatica. Ha raggiunto una tale intensità che mi sono messa a piangere. Così, davanti a una mozzarella».

Il legame che si instaura con l'attore da affiancare è molto forte, e non sempre facile da gestire: «A volte le difficoltà che devi affrontare sono di tipo linguistico e per quelle non ci sono problemi. E' più complicato se i problemi sono di ordine psicologico…. - racconta ridendo -. Ci sono attori che adorano imparare e si affidano completamente, altri che invece si sentono dei leoni in gabbia, insofferenti, obbligati al rispetto delle regole fonetiche». Nell'esercizio del mestiere possono talvolta capitare anche imprevisti imbarazzanti, situazioni dai risvolti involontariamente comici, come quella volta in cui - ricorda Benedetto - «stavo preparando Fanny Ardant per il film "L'odore del sangue", diretto da Mario Martone e ispirato a un romanzo di Goffredo Parisa che utilizzava un linguaggio molto scabroso. Si trattava di ripetere incessantemente le espressioni più ardite e fare in modo che gli accenti tonici cadessero nel punto giusto. Bisognava ripeterle fino alla nausea, ancora e ancora. Ricordo ancora la faccia della signora delle pulizie mentre, al telefono, scandivo ad alta voce queste oscenità per insegnare a Fanny la corretta pronuncia».

In attesa di partire per il Festival di Venezia dove Marina Benedetto presenzierà sia all'anteprima del film di Messina che al nuovo film di Marco Bellocchio "Sangue del mio sangue", in cui recita la sua allieva Lidiya Liberman, si gode alcuni giorni di vacanza nella città nella quale ha vissuto per quasi quattro lustri. «Molti dei miei amici più cari, oltre a mia madre, sono di Trieste. Alcuni ci vivono tuttora, come Alessandro Marinuzzi, grande amico e regista teatrale. Per questo ogni volta che posso torno in questa città e al suo mare. La sua vastità mi ha educata a spaziare con lo sguardo e il pensiero, dono che porto dentro come un gioiello».

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