Abel Ferrara: «Capisco Trump e l’apocalisse dell’America»

Elisa Grando / VENEZIA

«Nessuno capisce Trump come posso capirlo io: è cresciuto in un contesto e una cultura simili alla mia. Per capire la politica di un luogo devi venire da quel posto. Per questo durante la pandemia capivo la mentalità americana: gli Stati Uniti sono come un teatro, e Trump come presidente quasi un personaggio shakespeariano». Così Abel Ferrara descrive la sua America alla Mostra del Cinema di Venezia, dove ieri ha ricevuto il premio Jaeger-LeCoultre "Glory to the Filmmaker" e presentato il suo nuovo film, “Sportin’ Life”. Come lo ha definito il regista stesso, è «un documentario sull’atto di girare un documentario» che diventa inaspettatamente testimonianza del passaggio tra l’epoca pre-Covid e quella della mascherina. Le riprese iniziano lo scorso febbraio, al Festival di Berlino, dove Ferrara ha presentato il film “Siberia” insieme a Willem Dafoe. Sono passati poco più di sei mesi ma sembra di vedere le cronache da un’altra vita: gente assembrata in un night, a bordo red carpet, in un mondo senza mascherine. Tessendo un pamphlet teorico e pratico sulla sua idea di regia Ferrara si racconta, e pare un uomo nuovo: è sobrio da sette anni, non si muove mai senza la moglie Christina Chiriac e la figlioletta Ana. «La famiglia è la chiave, da lì si trae l’energia». Ma il regista newyorchese non si limita all’auto-ritratto: lascia ampio spazio a Dafoe, attore feticcio di buona parte del suo ultimo cinema, a volte quasi un suo alter ego. I due hanno girato sei film insieme: “New Rose Hotel”, “Go Go Tales”, “4:44 Last Day on Earth”, “Pasolini” con Dafoe nel ruolo del poeta, “Tommaso” e appunto “Siberia”, in ambienti estremi: «Mi piace il cinema che fa uscire dalla confort zone: per farlo una volta si riprendevano i gangster, oggi la natura», dice il regista. «E il documentario mi permette di essere leale, raccontare la verità». Anche per questo Ferrara ha voluto inserire nel film le riprese del lockdown a Roma, dove abita, realizzate col suo telefonino. La sua nuova casa, e quella delle origini: mostra anche le immagini dell’emergenza negli Usa, gli ospedali zeppi, i proclami negazionisti di Trump, le strade svuotate e le fosse comuni a New York. Fino all’uccisione di George Floyd e al movimento Black Lives Matter: la fotografia di un presente dove l’apocalisse è dietro l’angolo, come nei suoi film.

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