Addio a George Martin, l’uomo in più dei Beatles

LONDRA. È morto George Martin, il “quinto Beatles”, nella sua casa di Londra. Aveva 90 anni. Il primo a dare la notizia è stato proprio uno dei Fab Four, Ringo Starr, con un tweet nel quale ha postato una foto del gruppo di Liverpool insieme a Martin con la scritta «Grazie per tutto il tuo amore e la tua gentilezza George, peace and love».
Paul McCartney ha commentato «È stato per me un secondo padre». Il primo ministro inglese, David Cameron, lo ha ricordato definendolo «un gigante della musica».
La sua carriera era cominciata negli Anni ’50 quando si era messo a produrre dischi per la Emi lavorando in registrazioni per commedie con Peter Sellers, Spike Milligan e altri. Il suo primo grande successo risale al 1961, con The Temperance Seven. Come produttore ha collaborato anche con gli America, i Van der Graaf Generation, Peter Gabriel, Sting, Jeff Beck, gli Ultravox e jazzisti quali Cleo Laine, John Dankworth e Stan Getz.
Per capire perché sir George Martin - che ha ricevuto sei Grammy Awards ed è stato iscritto nella Rock and Roll Hall of Fame nel 1999 - è considerato il quinto Beatles, ossia uno che ha contribuito al successo della band alla pari di John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr, andando molto al di là del suo ruolo di produttore della band -, è utile raccontare un episodio. È il novembre del 1966 quando i Beatles si ritrovano negli studi di Abbey Road per lavorare a un nuovo album. Lennon si presenta con una canzone sulla quale ha lavorato per mesi che in seguito definirà come il suo pezzo più sincero: “Strawberry fields forever”. La accenna con la chitarra acustica a George Martin che ne resta estasiato. «È magnifica John, è veramente un bel pezzo. Come vuoi farlo?». Al complimento John risponde con una pacca sulla spalla «Credevo che dovessi essere tu a dirmi come devo farlo» e se ne va.
Tra quel primo abbozzo voce-chitarra acustica e il prodotto finito come lo conosciamo noi passano settimane di intenso lavoro, con otto interminabili sedute di registrazione agli Abbey Road Studios a cavallo tra la fine di novembre e il Natale del 1966. Il 29 novembre si giunge a una versione (la numero 7) che viene segnata come migliore e potrebbe essere definitiva. Ma non lo diventerà mai. Dopo una settimana infatti John torna da George Martin per dirgli che vuole rifare completamente “Strawberry fields”, ricominciando da zero.
George Martin comincia a scrivere le partiture e convoca i musicisti (4 trombe e 3 violoncelli) per una seduta di registrazione il 15 di dicembre. I lavori terminano nella tarda notte e Martin ha in mano materiale a sufficienza per realizzare una seconda versione, radicalmente diversa rispetto a quella del 29 novembre. Eterea e onirica la prima, potente e immaginifica la seconda.
In estrema sintesi, Martin è stato per tutta l'avventura dei Beatles la persona in grado di incanalare, tradurre e dare ordine alla più grande esplosione di creatività musicale della storia della musica. L'uomo che trasformava in realtà i sogni dei Fab Four.
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