Addio a Milva “la rossa”, animo popolare e il coraggio di puntare sempre in alto
Puoi essere nata a Goro, nel Delta del Po dove ti sono amiche le zanzare; ma se hai talento e passione e voglia di crescere, puoi diventare poi la Milva che gira il mondo con la musica più nobilmente popolare della tua epoca.
Così oggi che lei se n’è andata all’improvviso a 81 anni, dopo lungo tempo passato fra mille disturbi dentro le mura di casa, a Milano, sono tanti i mondi che ricordano Maria Ilva Biolcati in arte Milva. Si digita compulsivamente il suo nome su You Tube, si scelgono quei pezzi d’artista che sono piaciuti, o che rimandano a un mondo andato. Si riscopre che la sua anima popolare era rimasta intatta. Milva non ha mai ripudiato gli esordi sanremesi del 1961, ragazza ruspante che a 22 anni invitava: «Vieni a vedere il mio mare/io lo tengo nel cassetto», oppure si scatenava nel «Tango Italiano» o nel«Flamenco Rock». Ci passò tutto il decennio, al Festival dov’è stata ben 15 volte, e fu sempre felice di partecipare in gara anche quando il suo petto si andava riempiendo di onorificenze in Francia, Germania e nella stessa Italia, che riconoscevano grande dignità culturale al suo lavoro.
Milva non era glamour. Era una lavoratrice testarda, grata alla sua potente voce da contralto e alla versatilità che la animava. Era attenta all’intonazione, ansiosa di perfezionarsi, e in pochi anni era entrata in quel piccolo recinto delle deità femminili italiane per troneggiare come Pantera di Goro accanto alla Tigre di Cremona (Mina), all’Aquila di Ligonchio (Zanicchi) e all’usignolo di Cavriago (Orietta Berti). Le più popolari, imitate, non influencer ma personalità influenti. Nel passaggio dalle balere della fanciullezza alla dimensione professionale, aveva conosciuto negli studi torinesi della Rai il suo pigmalione, il regista Maurizio Corgnati, e assorbito cultura e letture e mondi altri, raffinatezza e personalità. Vissero nel paesino di Maglione del Canavese, si sposarono nel ’61, ebbero l’unica figlia Martina, oggi stimata critica d’arte. Il matrimonio durò fino al ’69, la vita sentimentale della star fu da allora impegnativa e tumultuosa.
Consapevole delle proprie possibilità, Milva si era convinta a sfruttarle in un processo naturale che affiancava passione a passione, ma abbandonava sicurezze e comodità acquisite abbracciando orizzonti più impegnati: nessuna come lei, della sua generazione, ebbe altrettanto coraggio, e tantomeno se ne vede oggi che ogni piccola star pare attenta solo a coltivare il suo orto.
Si diventava duttili, fra tv show e teatro leggero. Ma Milva approdò anche fra le braccia di Strehler, complici una facilità di apprendimento non comune e il repertorio di Brecht all’epoca assai frequentato, e da lei interpretato egregiamente, con una passione tale che gli dedicò anche quattro dischi. Nel 1973 fu una Jenny dei Pirati acclamatissima nell’«Opera da tre soldi». Fu Brecht ad aprirle le porte dei teatri internazionali, in Francia e Germania, mostrando anche la sua facilità nell’apprendimento delle lingue. Cantò e recitò in francese e tedesco, e persino in giapponese, e non abbandonò mai il versante discografico. Un album del ’72 era intitolato «Dedicato a Milva da Ennio Morricone»; nel ’79 il suo disco più impegnato, «Alla mia età» in italiano, con le musiche di Mikis Theodorakis e alcuni testi del premio Nobel greco Seferis. Più tardi la passione per Astor Piazzolla, e tour e un disco che incantò anche gli argentini.
Era la tessitura di una tela naturale, sulla spinta di una passione inarrestabile, che di volta in volta la riportava (come negli Ottanta) in Italia, alla Scala con Luciano Berio in «La vera storia», oppure la faceva protagonista de «La rossa» con le canzoni di Enzo Jannacci, e quel titolo che rendeva omaggio alla capigliatura fiammeggiante ma anche alla passione politica. Nello stesso decennio, si riaccendeva intorno a lei l’attenzione popolare con l’album «Milva e dintorni», il primo di tre deliziosi dischi con Franco Battiato autore e arrangiatore con Giusto Pio; un successo che ebbe l’apice grazie ad «Alexanderplaz». Per prima, poi, Milva cantò Alda Merini.
Nel 2018, Claudio Baglioni sul palco di Sanremo consegnò alla figlia Martina un Premio alla carriera. Un omaggio tardivo che le avrà fatto piacere assai, ma che non cancella una sensazione frequente: l’Italia sembra sempre girare un po’ le spalle ai suoi divi quando partono per conquistare altri Paesi, come soffrisse di questo tipo di successo. La camera ardente domani mattina, al teatro Strehler, suona come una piccola consolazione. —
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