Addio al sassofonista Lee Konitz un gigante tranquillo del jazz

Il Covid l’ha ucciso a 92  anni a New York Allievo del pianista cieco Lenny Tristano, ha ispirato molti grandi italiani

ROMA

Lee Konitz era un gigante tranquillo del jazz. Se l'è portato via il Covid 19 a 92 anni, dopo una carriera lunga più di 70. Era nato a Chicago, nel 1927, ed è morto a New York dove viveva da tempo. Il primo capitolo decisivo della sua straordinaria avventura nel jazz è legato ai leggendari seminari di Lennie Tristano, il pianista cieco dalla tecnica prodigiosa che è il padre del Cool Jazz. Konitz in breve tempo diventa uno dei più richiesti solisti di sax alto: nel 1947 entra in quell'orchestra di Claude Thornill che ha fatto da incubatore per la nascita di uno dei dischi più famosi della storia del jazz. È da li che nasce la Tuba Band che registrerà «Birth of The Cool», l'album di Miles Davis che di fatto comunica al mondo l'esistenza di un nuovo modo di concepire il jazz.

Una delle voci fondamentali di quel nuovo modo di concepire il jazz è proprio il sax contralto di Konitz che, nel 1949 negli anni '50 vive un'altra esperienza importante suonando nella big band di Stan Kenton. Nei decisivi decenni tra gli anni '40 e '60, Lee Konitz suona con alcuni dei più importanti protagonisti della scena, da Gerry Mulligan a Ornette Coleman, da Charles Mingus a Bill Evans a Chet Baker. Quando, a partire dagli anni '70 il jazz conosce la sua svolta elettrica, Lee Konitz comincia la sua vita di solista in tour.

Questo non gli ha impedito di incidere ancora accanto a musicisti importanti come Paul Motian, Art Pepper, Michel Petrucciani, Brad Meldhau, Bill Frisell. In Italia era di casa. Danilo Rea, Enrico Pieranunzi (che è stato un partner assiduo di Konitz), Roberto Gatto, Maurizio Giammarco, allora giovanissim, gli devono molto. Konitz girava il mondo senza gruppo e si affidava a ritmiche locali: così alcuni dei migliori jazzisti italiani, all’inizio della carriera, hanno avuto la fortuna di fare le prime esperienze con un maestro come lui.

Era un musicista dallo stile inconfondibile, elegantissimo, un musicista esigente dotato anche di una buona dose di autoironia che ha trascorso la vita cercando cose nuove nel più classico repertorio del jazz, inseguendo, fino all'ultimo giorno, il piacere della sorpresa dell'improvvisazione. —

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