Addio al senatore Emanuele Macaluso una vita ai vertici del Partito comunista

È morto all’età di 96 anni uno dei grandi protagonisti della sinistra e della politica italiana del dopoguerra
07/09/2013 Mestre - Festival della Politica - Emanuele Macaluso
07/09/2013 Mestre - Festival della Politica - Emanuele Macaluso



Come il suo grande amico Giorgio Napolitano, diviso tra la lunga militanza nel gruppo dirigente del Pci e quella ai vertici delle istituzioni, anche Emanuele Macaluso, scomparso ieri a 96 anni, ha avuto due vite: una cominciata giovanissimo in Sicilia, al fianco dei contadini che occupavano le terre, e a Portella della Ginestra si beccavano le pallottole del bandito Giuliano, mandato a sparare a lupara dalla declinante aristocrazia e dallo Stato democristiano che temeva il ritorno dei Vespri siciliani e forse anche dagli americani, sbarcati nell’isola da liberatori nel’43, e timorosi di vederla diventare una Cuba mediterranea, perché le sinistre unite, nel’47, avevano vinto le elezioni regionali.

Una vita da dirigente politico, prima della Cgil e poi del Bottegone, accanto a Togliatti, Longo e Berlinguer. È uno dei ventenni chiamati dal Migliore a costruire il «partito nuovo» e resta togliattiano fino all’ultimo: solo otto anni fa, in polemica con chi voleva ridurlo a un a un succubo di Stalin, in un pamphlet ne rivaluta le straordinarie doti politiche, senza timore di essere lapidato dalla storiografia ufficiale. Come molti siciliani, aveva una ribalderia di fondo e un certo gusto dell’imprevedibilità: sua ad esempio la regia di un’operazione politica, il «milazzismo», dal nome del capo del governo regionale Silvio Milazzo, un cattolico grazie al quale Macaluso riesce a portare all’opposizione nel’58 la Dc, nel luogo dov’erano nati Don Sturzo e il Partito Popolare, costruendogli contro una maggioranza che andava dai comunisti ai fascisti del Msi.

Sa distinguersi anche nella vita di un partito allora assai disciplinato. Alla fine dell’XI Congresso, 1966, dopo l’epico scontro con Amendola, Ingrao, sconfitto, sta per essere liquidato. È Macaluso, insieme con Berlinguer, a convincere Longo a non escluderlo dall’Ufficio politico.

E Amendola, per punire il giovane dirigente siciliano, chiederà che sia spedito a fare il segretario in Veneto.

Deputato, senatore, protagonista, come presidente di commissione, della stagione della solidarietà nazionale in cui il Pci, alleato della Dc, arriva nell’anticamera del governo, diventa direttore de l’Unità nel 1982, proprio nel momento della rottura con Berlinguer: non condivide la svolta finale verso l’alternativa e lo scontro frontale con Craxi.

E quando il leader del Pci, nell’83, addirittura dichiara che il governo a guida socialista «può essere pericoloso per la democrazia», Macaluso titola «potrebbe», prendendosi la licenza di ammorbidire la linea ufficiale del partito.

L’esperienza alla direzione del giornale è lo snodo verso la sua seconda vita. Così che, quando nel 1992 si trova privato del suo storico seggio parlamentare in Sicilia, Macaluso, «em. ma. », così firmava i suoi corsivi, diventa a tempo pieno giornalista, scrittore e, soprattutto, polemista.

Grillo parlante al centro del discorso pubblico in Italia molto più di quanto non abbia potuto farlo prima, con i vincoli del dirigente politico.

Così, contrariamente al Pds, che cavalcherà il processo, sarà il difensore politico di Andreotti: e non perché non convinto dei legami tra le propaggini siciliane della corrente del Divo Giulio e la mafia: ma perché sostiene che non si processa la storia.

I suoi libri hanno sempre lasciato il segno. Quello sui rapporti tra Sciascia e i comunisti è una garbata presa in giro di uno tra i maggiori intellettuali italiani, che crede di costruire l’alternativa con il Pci e si ritrova a fare il compromesso storico con Ciancimino, Lima e la peggiore Dc siciliana.

Quello sui 50 anni di vita di vita nel Pci è un prezioso resoconto di vita quotidiana nel più grande partito comunista d’Occidente.

L’episodio più gustoso è il racconto del viaggio a Mosca, quando ormai i rapporti tra la «casa madre» e Botteghe Oscure si sono guastati, e Macaluso, accompagnato da Antonello Trombadori, è costretto a far tappa in Corea. Kim il Sung li riceve con tutti gli onori e con uno spettacolo di ballerine, ma li sequestra per cinque giorni.

Alla fine dei quali Macaluso ottiene la liberazione solo con la minaccia di rivolgersi all’ambasciatore italiano. –



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