Addio allo storico Enzo Collotti una vita dedicata alla Resistenza

È morto a Firenze all’età di 92 anni lo storico Enzo Collotti, uno dei più importanti storici italiani ed europei della Resistenza italiana e nello studio del nazismo, e che aveva un profondo legame con Trieste. Grande conoscitore delle fonti archivistiche e storiografiche in lingua tedesca, amico del compositore musicale Luigi Nono e del regista teatrale Giorgio Strehler, Collotti ha prodotto studi di grande rilievo soprattutto sulla struttura dell'occupazione tedesca in Italia (con il pionieristico: “L'amministrazione tedesca dell'Italia occupata”, edito nel 1963), sull'organizzazione dell'Europa sotto il dominio nazista (con importanti contributi sul cosiddetto Generalplan Ost, sul sistema concentrazionario, sul collaborazionismo, nella raccolta di saggi “L'Europa nazista”), sull'Olocausto. Nato a Messina il 15 agosto 1929, amava Trieste dove, da preadolescente, era giunto a seguito del padre, Francesco Collotti, ordinario presso l’Ateneo giuliano; aveva assistito allo strazio di una città assediata nel corso del processo del 1941 e, poco dopo, all’occupazione nazista.

Ritornato a Trieste a metà degli anni Sessanta, aveva arricchito i suoi rapporti internazionali, già molto numerosi, con l’incontro e lo scambio con gli studiosi sloveni, trovando risorse importanti nei loro archivi. Come segretario e membro del Consiglio direttivo dell’attuale Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea - Irsrec Fvg - denunciò, accanto ad Elio Apih, l’assurdità della contrapposizione nazionalista tra italiani e mondo slavo. I suoi studi sul Litorale adriatico in questo senso sono rimasti esemplari. Il processo per la Risiera di San Sabba, iniziato nel 1976, dopo anni e anni di silenzio, lo vide tra i protagonisti nella redazione dell’istruttoria.

«La sua scomparsa - si legge in un comunicato dell’Irserc, sottoscritto anche dal presidente del Circolo della stampa Pierluigi Sabatti - rappresenta per tutti noi una ferita molto dolorosa. Se n’è andato uno studioso di straordinaria grandezza, capace di spaziare dalla storia, all’arte, alla musica alla letteratura, senza conoscere confini di sorta: la sua figura era quella di un umanista a tutto tondo. Forse è stata questa una delle radici che l’ha spinto a cercare le ragioni dei comportamenti e delle scelte disumane delle vicende novecentesche». «Le lacerazioni novecentesche come il razzismo, l’antisemitismo, l’oppressione degli inermi e l’aggressività nazionalista - continua il comunicato - erano al centro dei suoi infaticabili studi, appassionati e rigorosi, anche quando le fonti erano ancora scarse o addirittura precluse. Chi ha avuto la straordinaria fortuna di conoscerlo, non può che conservarne un intenso ricordo: uomo schivo, almeno in apparenza. Era tuttavia capace di una grande dolcezza, fatta di pazienza, di ascolto, di vera curiosità verso l’altro. Si avventurava nel nostro Istituto e con mano leggera suggeriva bibliografie e percorsi di ricerca a livello internazionale: creava allievi che con lui sono cresciuti come studiosi e come donne e come uomini». —

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