Addio Alojz Rebula lo scrittore triestino vissuto fra due mondi

il ricordoGrave lutto nel mondo della letteratura: è morto in Slovenia, a novantaquattro anni, lo scrittore triestino Alojz Rebula, di nazionalità slovena, nato a San Pelagio, sul Carso. Membro dell'A...

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Grave lutto nel mondo della letteratura: è morto in Slovenia, a novantaquattro anni, lo scrittore triestino Alojz Rebula, di nazionalità slovena, nato a San Pelagio, sul Carso. Membro dell'Accademia slovena di Scienze ed Arti, Rebula era noto e apprezzato anche come traduttore e aveva studiato all'Università di Lubiana. Viene annoverato tra i maggiori narratori sloveni insieme a Boris Pahor, Ciril Kosmač e Drago Jančar. È autore di più di cinquanta romanzi, tutti scritti in lingua slovena, alcuni dei quali tradotti in italiano, mentre ha scritto in italiano diversi articoli e saggi. L'anno scorso era uscita per La Nave di Teseo una riedizione del suo libro “La peonia del Carso” per la traduzione di Alessandra Foraus. Rebula, profondamente segnato dal fascismo, sviluppa una profonda sensibilità per la sua lingua madre, lo sloveno, allora proibita.

Filologo classico, studioso ed esperto di Dante, traduttore della Bibbia, narratore, saggista, drammaturgo, è autore di opere di grande respiro europeo. Insignito di numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il premio Mario Rigoni Stern per la letteratura multilingue delle Alpi, era membro dell'Accademia Pontificia dei Virtuosi al Pantheon. La scrittrice, critica e senatrice Tatjana Rojc ha ricordato così il grande intellettuale: «Rebula non è morto, perché la sua parola continua a vivere e dialogare con noi attraverso le opere che lo collocano tra i grandi della letteratura europea, a strettissimo contatto fisico e culturale con l'Italia. Ho avuto la fortuna di avere Rebula come professore al liceo e di incontrare la sua fiducia nello scrivere della sua opera, per cui ricordarlo è un dovere difficile da assolvere. I luoghi comuni della critica, che ne ha enfatizzato la matrice cattolica o il respiro del romanziere storico, non sono utili a descrivere la figura di quello che, più semplicemente, è stato un Maestro, e che si è meritato le massime onorificenze della Repubblica Italiana e di quella Slovena». Rojc ha sottolineato l'importanza del ruolo culturale di Rebula in un'Europa di metà Novecento segnata ancora da forti odi e tensioni: «Rebula fu testimone, altissimo e scomodo per tutti, degli eventi tragici di un confine che ha grondato sangue e sul quale ancora oggi qualcuno non vuole che la pacificazione sia una conquista definitiva. Invece il dialogo che ha intessuto con le lettere e con gli intellettuali italiani è un esempio di come dalle posizioni più distanti si possa ritrovarsi uniti da un comune fattore umano ed esistenziale, purché la volontà sia buona e l'intenzione sincera».

Rebula aveva compiuto gli studi ginnasiali a Gorizia e quelli liceali al seminario di Udine per poi laurearsi nel 1949 a Lubiana in Filologia classica. Il suo primo romanzo, “Devinski sholar (Lo scolaro di Duino)” del '54, è una storia autobiografica in cui l'autore racconta la difficile condizione degli sloveni nel periodo fascista. Nel '60 a Roma alla Sapienza aveva discusso la tesi di dottorato sulla traduzione in sloveno della “Divina commedia” di Dante che considerava il massimo autore di ogni epoca. Del '68 è il suo capolavoro, “Nel vento della Sibilla”, la sua prima opera ad essere tradotta in italiano ma pubblicata solo nel '92.

Rebula era molto apprezzato a Trieste anche come insegnante, prima di lingua e letteratura slovena alle scuole medie e poi di greco e latino al liceo classico sloveno Prešeren. Tra i temi trattati nelle sue opere ci sono la contemplazione della realtà, la tenace fede religiosa, la condizione della minoranza slovena e il rapporto conflittuale con Trieste. Nel 2001 è uscito un interessante carteggio, tutto in italiano, tra lui e Manlio Cecovini, uno scambio di vedute acceso e profondo tra un pensatore cattolico come Rebula e un uomo profondamente laico come Cecovini. La figlia Alenka, poetessa e autrice di libri di psicologia, ha seguito le orme del padre di cui è il genero Igor Tuta a tracciare un profilo: «Rebula era scrittore già prima di sposarsi nel '51. Lui e la moglie, anche lei scrittrice e insegnante, vivevano nel paesino di lei, Loka, vicino a Celje, dove lui sarà sepolto. Quando tornava a casa da scuola si chiudeva nel suo studio a scrivere ed era lì che accoglieva gli amici. Oltre che un grande intellettuale possedeva anche un eloquio squisito e trasparente e amava discutere dei più diversi temi sia in famiglia che al di fuori».«È stato - aggiunge Tuta - anche il mio insegnante di greco e latino, un professore severo ed esigente ma bravissimo: per certi versi lui viveva ancora nell'antica Grecia. Conosceva Omero a memoria e aveva una grande umanità con la quale affrontava con noi studenti i fatti importanti applicando i valori universali, e poteva parlare per ora intere. Amava il Carso perché vi era cresciuto, la famiglia aveva dieci piccoli appezzamenti di terreno e a ciascuno lui ha dedicato un testo: quando dovette andare a scuola a Gorizia subì un trauma tanto era legato a quel mondo rurale». Rebula ha scritto fino a quattro giorni fa. I suoi romanzi sono ambientati in epoche storiche precise e raccontano, di volta in volta, del periodo romano e dell'imperatore Antonino Pio nelle nostre terre, del vescovo di Trieste Piccolomini poi diventato papa Pio II, o delle battaglie sull'Isonzo, ma sono storie di fantasia con personaggi inventati, vicende della cui creazione l'autore andava molto fiero. Rebula non si sentiva né triestino né europeo: si considerava un uomo del mondo.-

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