Addio Enzo Mari gigante del design Nel 2006 portò la sua arte a Trieste

Scomparso a Milano a 88 anni, vinse cinque Compassi d’oro Il Gopcevic ospitò la mostra “Questo non è uno scolapasta”

È morto all’ospedale San Raffaele di Milano Enzo Mari, 88 anni, uno dei più grandi designer italiani del ’900. Nella sua carriera ha ricevuto 5 Compassi d'Oro, di cui l'ultimo nel 2011 alla carriera.



Il vassoio Putrella, prodotto da Danese, che portò nelle case degli italiani (e non solo) un elemento grezzo da costruzione, come la trave edilizia, trasformandone l'uso con una «semplice» curvatura. Le sedie Soft Soft (Driade) e Delfina (Rexite), quasi due sculture nella loro essenzialità. Ma anche il cestino inclinato per gettare le carte In attesa, il calendario a parete Formosa (ancora Danese); le pentole Copernico e le posate Piuma (Zani&Zani); lo spremilimoni Squeezer (Alessi) e, tra i più recenti, il portaombrelli Eretteo e l'appendiabiti Togo (Magis). È lunga oltre 1.500 oggetti, diventati icone del Made in Italy che ha conquistato il mondo, l'eredità tangibile lasciata da Enzo Mari. Ma ancora più imponente è il lascito del suo pensiero, spesso provocatorio, polemico, fortemente politico, che sin dagli anni ’50 ha spinto prepotentemente per un innovamento dell'intero concetto di design. Nel 2006 Trieste aveva ospitato a palazzo Gopcevic la mostra delle sue creazioni intitolata “Questo non è uno scolapasta”, curata da Alessio Bozzer e Beatrice Mascellani, già assistenti di Mari nello studio di Milano, e dal critico Marco Minuz.

Nato nel 1932 a Cerano, nel novarese, studente a Brera dal '52 al '56 e poi milanese per sempre, cinque volte Compasso d'oro (l'ultimo alla carriera nel 2011), sin da subito Mari partecipa ai movimenti d'avanguardia legati al design, rifiutando sempre, però, l'idea dell'intellettuale lontano dal pubblico. Nel gruppo Arte cinetica conosce l'amico e collega Bruno Munari, che influenzerà parte dei suoi lavori futuri, come il celebre puzzle a incastro del '56 “16 animali”. Nel 1957 conosce e sposa Gabiela Ferrario, in arte Iela Mari (scomparsa nel 2014) madre dei suoi due figli, lo scrittore Michele ed Agostina. Diventa poi coordinatore del gruppo Nuova Tendenza, di cui organizza l'esposizione alla Biennale di Zagabria del 1965. Sempre in quegli anni conosce la curatrice e critica d'arte Lea Vergine, sua compagna fino all'ultimo. Attenzione massima ai materiali, con lo slogan «il nostro scopo è fare di te un partner», Mari ribalta il ruolo dell'utente finale, da consumatore passivo a fruitore di un oggetto e di un processo in cui ha parte attiva. «La pulsione al progetto - ripete più volte - è uno dei bisogni fondamentali dell'uomo. Uguale a quello della fame, cioè della sopravvivenza dell'individuo e uguale a quello del sesso, cioè della sopravvivenza della specie».

Considerato da molti «la coscienza dei designer», è convinto che la creazione debba trasformare la società. Rifiuta il concetto di «merce» e si batte per un'«utopia democratica» della produzione, ovvero disegnare e produrre oggetti belli e utili per la gente comune.

Docente alla Società Umanitaria di Milano, poi al Politecnico di Milano e all'Università di Parma espone in tutto il mondo, dalla mostra molto dibattuta «Falce e martello. Tre modi con cui un artista può contribuire alla lotta di classe» a Milano nel '73, alle opere presenti alla Galleria Nazionale d'arte moderna di Roma, al Moma di New York, al Triennale Design museum di Milano. Porta l'eccellenza del Made in Italy in tutto il mondo ridisegnando gli interni delle case con oggetti di uso comune realizzati con le maggiori aziende del Paese, in particolare Danese, ma anche Zanotta, Alessi, Rexite, Driade, Olivetti, Artemide, Ideal Standard, Flou e Robots.

Tra i suoi libri più famosi, «25 modi per piantare un chiodo» (Mondadori), importante riflessione sullo sfondo del design italiano del '900. Solo la scorsa settimana la Triennale ha aperto «Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli», retrospettiva di oltre 60 anni di attività progettuale, dall'arte al design, dall'architettura alla filosofia, dalla didattica alla grafica (fino al 18 aprile 2021). «Io non ho ispirazione - aveva detto inaugurando la sua mostra a Trieste - non ho belle parole da raccontare. Il progetto va sempre giudicato nel momento in cui diventa merce. Io mi limito a progettare quello che mi chiedono e ogni volta appassionatamente cerco di mettere i puntini sulle i, di fare il possibile perchè alla domanda corrisponda un minimo di dignità». —

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