Addio Grass, coscienza critica della Germania

Lo scrittore Premio Nobel è morto ieri all’età di 87 anni. Nel 2006 confessò la sua giovinezza nelle file delle Waffen-SS
Di Paola Targa

BERLINO. Günter Grass sempre più, nel bene e nel male, ha rappresentato la realtà e lo spirito della Germania, prima nascondendo i suoi sensi di colpa e dichiarandosi antinazista, poi confessando in tarda età di essere stato a 17 anni una Waffen-SS, da giovane che credeva nel suo paese e vedeva quel corpo militare come un'unità d'elite; così gioendo per la caduta del Muro ma poi diventando molto critico con «È una lunga storia» sulla riunificazione con la Ddr; ancora, nascendo come autore d'avanguardia, una delle colonne del Gruppo 47, «coscienza critica» della Germania, e restando poi giubilato dal premio Nobel per la letteratura, ricevuto nel 1999.

Detto questo sarebbe sbagliato, come potrebbe essere facile, dare una lettura essenzialmente politica della sua produzione letteraria, in gran parte di altissimo livello. Tra l'altro, dopo la sua clamorosa confessione di un passato nazista nel 2006, anticipando ciò che stava scrivendo nella sua autobiografia «Sbucciando la cipolla», la sua figura di scrittore, di autore di romanzi, poesie, teatro, ha subito una sorta di nemesi, che ha fatto prendere rilievo assoluto principalmente alle sue scomode prese di posizione politiche, a cominciare da quella molto critica verso Israele.

Anche il suo capolavoro, «Il tamburo di latta», il libro che nel 1959 gli ha dato fama internazionale, ha avuto naturalmente una lettura storico-politica. Il nano Oskar Matzerath che si rifiuta di crescere è sembrato un pò la Germania del dopoguerra davanti al suo passato hitleriano: la sua storia, partendo da quella della propria famiglia in un luogo emblematico come Danzica, viene rievocata dall'inizio del Novecento alla fine della seconda guerra mondiale dalla cella di un manicomio in cui è rinchiuso. Situazione subito estrema, malata, grottesca che trova la propria forza nella vena umoristica nera, fortemente provocatoria, burlesca e anarchica, che resta però sempre lucidamente realista nel ridicolizzare l'universale dimensione piccolo-borghese del mondo che circonda Oskar, che lo guarda dal basso, scoprendone falsità e viltà, senza moralismi, con una sua perfida oggettività specie quando affronta gli anni del nazismo. Nella sua narrazione non c'è spirito critico, ma un'osservazione stupefatta e curiosa sostenuta dal gioco e la musicalità della scrittura, quasi sensoriale nell'attenzione a una certa fisicità, agli odori come alla visione. Il suo tamburo di latta appeso al collo per Oskar è arma di difesa, ma anche di offesa, battendo la quale si procura «la necessaria distanza tra sé e gli adulti», ma assieme si sforza di dare «un segnale al mondo». Un segnale che giunse forte e chiaro, ridando dignità alla grande tradizione letteraria tedesca.

Una mostruosità fisica connota anche il liceale Joachim Mahlke, protagonista sempre a Danzica del successivo «Gatto e topo» (1964), continuamente in lotta col suo difetto nel tentativo di dissimularlo a una società perfida e sempre in agguato. Racconto «pudico e sempre sfrenato» ma che imbriglia la propria vitalità in una misura quasi classica e mostra la direzione che andrà prendendo l'appassionato realismo di Grass, corroborato da una freddezza della fantasia e una disciplina di scrittura, anche se con una sua tendenza alla spiegazione, alla citazione, all'allusione quasi didascalica, che dà forza e assieme sgonfia anche il dramma «I plebei provano la rivolta», quella operaia di Berlino nel 1953. Molto critico verso la figura di Brecht, indagando il rapporto tra letteratura e verità, tra teatro e vita. Dello stesso anni, 1966, è anche il terzo romanzo dei suoi inizi, «Anni di cani», che riprende i temi del primo con meno forza e verità. Così le sue opere restano legate alla società e la storia, da «Anestesia locale», che nel 1969 affronta i temi della contestazione studentesca, al «Diario di una lumaca» del 1972, documento del suo attivo impegno politico al fianco di Willy Brandt, sino a «È una lunga storia» e il romanzo «Il passo del gambero» riflessioni critiche sulla riunificazione tedesca e sull'incapacità di dimenticare della Germania, e infine i due volumi d'autobiografia, l'esplosivo «Sbucciando la cipolla» e il più famigliare «Camera oscura».

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