Addio Nico Naldini dal Friuli all’Africa la poesia della vita tra ragione e desiderio

Scrittore, saggista e regista, aveva 91 anni. Cugino di Pasolini nato a Casarsa, li legavano interessi, ideali e radici comuni

È morto a 91 anni Nico Naldini, scrittore, poeta, regista, cugino di Pier Paolo Pasolini. Friulano di Casarsa, viveva da anni a Treviso.





Si è spento ieri Nico Nico Naldini, il poeta friulano che non ha cantato solo il Friuli. Naldini da anni viveva a Treviso, ma era nato nel 1929 a Casarsa della Delizia, una cittadina che riporta subito alla mente un altro grande autore, Pier Paolo Pasolini, di cui Nico Naldini era cugino. La madre Enrichetta Colussi era la sorella di Susanna Colussi, madre di Pasolini.

Il primo elemento poetico è già lì, nella campagna friulana, legato a doppio vincolo non solo al paesaggio ma anche a una comune infanzia con Pier Paolo. Un’infanzia fatta di arte e gioco a ricordare come i due cugini alternavano alle partire di calcio le lezioni di pittura a bottega di Federico De Rocco. Quadri che in fondo ritraevano il Friuli. Più conosciuti dei suoi dipinti sono infatti i saggi critici su un artista come De Pisis o su scrittori famigliari come Giovanni Commisso, Goffredo Parise, Andrea Zanzotto e lo stesso Pasolini, quasi tutti editi da Einaudi e Guanda.

Ma Naldini era poeta soprattutto, poeta del Friuli e dell’Africa. Fu proprio il cugino a pubblicare la sua prima opera, nel 1948, attraverso quella straordinaria Academiuta di lenga furlana che fu una vera fucina di ricerca. Erano le prime prove in dialetto, osando poi la lingua italiana con “Un vento smarrito e gentile”, edito da Scheiwiller. D’altra parte Naldini ha sempre confessato il forte legame con il cugino, prima più incerto, cambiato profondamente quando Pasolini scoprì che il piccolo Naldini (allora aveva 12 anni), si arrampicava nella biblioteca di famiglia per leggere Sandro Penna, Vittorio Sereni e molti altri.

Un’epoca segnata soprattutto dalla scoperta della poesia, di un poeta come Machado, per esempio, e del suo cantare un mondo come quello contadino che lui stesso viveva a Casarsa. Naldini era poeta che rimaneva tale anche quando il passo si era fatto più prosastico. Basti pensare a “Piccolo romanzo maghrebino” del 2016, edito da Guanda, ma già uscito molti anni prima per Manni e che, nonostante il titolo, rimaneva poesia e per una ragione molto semplice, evocava sempre un nucleo preciso di emotività. Questo appunto, riesce a farlo la poesia. Purezza del timbro e semplicità del canto, questo ci investe nella lettura di Naldini.

E poi la nostalgia. Per l’Africa soprattutto dove ha anche vissuto e descritto in tante poesie e racconti. Figure che appaiono sempre nella brevità luminosa di uno scorcio, eppure ricche di un tratteggio psicologico. Ma i suoi libri certo non ci offrivano solo la felicità consolatoria di un paesaggio o la nostalgia esistenziale di un ricordo. Sapeva anche dirci quanto la nostra vita, rispetto all’antico oriente e occidente, non fosse più un’esistenza armoniosa.

Naldini ci conduce per mano attraverso le cose della vita, quelle piccole, fatte di gesti e abitudini da cui si riflettono frammenti di felicità, brandelli di verità. Nell’ultimo, “Quando il tempo s’ingorga” (Ronzani Editore), uscito lo scorso anno, ci ha restituito una serie di racconti che ritraggono amici celebri e no, stralci di diario, riflessioni sull’epoca, ricordi soprattutto, come quello di Trieste, la sua bora, i primi innamoramenti, quel Ferruccio e casa Marin, di cui Nico Naldini era stato ospite da studente. Pagine in cui il nitore stilistico conferisce il timbro della poesia.

Negli ultimi anni la sua operosità ha prodotto alcune esemplari biografie di autorevoli personaggi del Novecento (Da Comisso a De Pisis) e diversi testi di squisita vena autobiografica, racchiuso appunto in questo titolo montaliano. Naldini ha incrementato così la sua viva testimonianza sulla cultura del Novecento, fino alla fine. L’ha fatto con la poesia, con la prosa, con la saggistica. Molti, negli anni, i suoi scritti per Il Piccolo. Leggere Naldini significa leggere la vita nella sua reiterata passione, vita che si risolve in immagini nettamente realistiche, vita di ossessioni amorose, di desiderio del desiderio, di una fascinazione destinata a non risolvere la contraddizione più violenta, tra testa e cuore, ragione ed emozione. O ancora scorrendo le pagine di un altro suo libro in versi, l’immagine è quella di un poeta sparso tra la folla di un paesaggio del Maghreb (Naldini aveva una piccola dimora laggiù, su un promontorio che guarda a oriente e a occidente), che rassetta la casa, che va a fare la spesa nel suq, che incarna i suoi versi: “ed ora eccomi a sognare il deserto di cui Rijad conserva intatto ogni colore”. —

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