Ai Mille Occhi il sogno sexy anni ’70
L’attrice Dagmar Lassander ospite della rassegna triestina: «Ma oggi mi diverto molto di più»

TRIESTE. È consapevole di essere entrata nell'immaginario erotico di un nutrita schiera di maschi italici, ma sapere che un premio Oscar la considera il sogno erotico per antonomasia della sua adolescenza ha lasciato imbarazzata persino lei. Capita se ti chiami Dagmar Lassander, l'attrice tedesca ospite in questi giorni del festival i Mille Occhi al Teatro Miela che le ha dedicato un “focus”. «Roba da educande per gli standard attuali – ride la sexy icona degli anni '70 e '80 – era solo un po' di bagnoschiuma sulle parti “hot”. Comunque, quando Giuseppe Tornatore me lo ha confessato a Los Angeles, aggiungendo che con gli amichetti andava al cinema appositamente per vedermi, è diventato rosso come un peperone».
Ripercorrendo le tappe della sua carriera si vibra di curiosità e ammirazione: per gli inizi a Berlino circondata da artisti come Igor Stravinski e Emilio Vedova, per l'esser stata diretta poi da autori come Ettore Scola, Lucio Fulci, Mario Bava, Fernando Di Leo, Riccardo Freda, Steno, perfino da Alberto Sordi nel celebre “Il comune senso del pudore”. Ci si aspetterebbe entusiasmo, voglia di ricordare, un pizzico di nostalgia magari. Dagmar Lassander invece spiazza completamente. «Mi rendo conto che parrà strano – dice - ma mi diverto assai più oggi che all'epoca: non sono legata al passato e apprezzo molto di più il mondo che ho intorno adesso». Prova ne è la passione con cui racconta l'ultimo film in cui ha recitato, esordio registico dell'attore Paolo Sassanelli dove interpreta una famosa cantante olandese, «ruolo piccolo ma talmente giusto!», mentre l'abbiamo da poco vista in “Tommaso” di Kim Rossi Stuart. «Avevo smesso di lavorare, non m'interessava più: Kim prima mi ha cercato con tenacia e poi mi ha diretta con grande sensibilità». Sul passato non ritroviamo altrettanto trasporto, piuttosto un certo distacco. «Comunque – aggiunge ironica - se mi hanno affibbiato il nomignolo di “ragioniera del cinema” ci sarà un perché!».
Lassander è abbottonata sul feeling creatosi con i partner del grande schermo, da Philippe Leroi a Mel Ferrer a Tomas Milian. Unica eccezione, si diverte al ricordo delle scorribande di Tony Renis e Angelo Infanti sul set colombiano de “Il Corsaro Nero” di Sergio Sollima nel '76, anno in cui fa il botto comparendo in ben 12 film, «ma erano anche partecipazioni», minimizza.
Si lascia un po' più andare in termini di rivalità tra colleghe. «Non direi che ci fosse competizione. Con Claudia Cardinale sarebbe stato difficile perché è una delle persone più deliziose che io conosca. Anche Stefania Sandrelli, gran carattere oltre alla bravura. L'unica volta che ci fu un certo attrito fu in uno dei primi film in Italia (“Il rosso segno della follia” di Bava del '70,
ndr
), ma probabilmente fu anche un problema mio di non capire bene l'italiano. C'era quest'attrice che si comportava come fosse Marilyn, nonostante la protagonista, per contratto, fossi io. Solo più tardi ho capito che si trattava di Laura Betti e che quindi per la produzione avesse un certo peso. L'ho incontrata poco più avanti in un negozio di piazza di Spagna, carina e gentile. “Vorrei presentarti a Pierpaolo”, mi ha detto, ma non ho voluto: forse ero prevenuta sul suo essere comunista, essendo vissuta nella Berlino del muro. Ricordo che quando viaggiavo ero terrorizzata: a volte venivamo fermati dalla polizia della Ddr e trattenuti sui binari anche 10 ore, al freddo, senza cibo né bevande. Per chi ha vissuto lì quel periodo il comunismo era una cosa poco raccomandabile. Ma su Pasolini, questo meraviglioso, intelligente visionario, ho proprio sbagliato. E mi sono mozzicata la lingua per gli anni a venire!»
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