Al porticciolo di Barcola Viola e Luca dividono un ultimo asciugamano

di FEDERICA MANZON È il 2 di agosto 2015. Viola non viene a Barcola, e nemmeno a Trieste, da un tempo che non ha voglia di contare. Vive in Camden Street e lavora per la radio più ambita d'Inghilterra...
Di Federica Manzon
Lasorte Trieste 02/08/15 - Porticciolo di Barcola e Pineta
Lasorte Trieste 02/08/15 - Porticciolo di Barcola e Pineta

di FEDERICA MANZON

È il 2 di agosto 2015. Viola non viene a Barcola, e nemmeno a Trieste, da un tempo che non ha voglia di contare. Vive in Camden Street e lavora per la radio più ambita d'Inghilterra. Porta i capelli neri tagliati corti sulla nuca e vestiti di stilisti nippo-americani, mangia cibo biologico che le costa una fortuna, viene invitata ai concerti più cool del regno. Adesso che è in vacanza l'iphone continua a trillare l'arrivo di email, tutte urgenti. Lo ignora e si tuffa in acqua dal suo scoglio a livello del mare, proprio sulla punta del porticciolo di Barcola. L'acqua non è limpida come quella di Grignano della sua adolescenza, ma con l'auto appena noleggiata e la poca pratica non ha voglia di guidare più lontano. E poi al porticciolo c'è quella fauna umana che la mattina prima delle undici, di un caffé e di un'aspirina difficilmente si precipita a occupare i parcheggi. Viola riemerge dall'acqua battendo i denti e si distende al sole, si addormenta.

Si accorge di lui solo qualche ora dopo. È su uno scoglio a meno di dieci passi dal suo, possibile non l'abbia vista? Possibile non l'abbia riconosciuta? Viola lo osserva dormire. È abbronzato come uno che ha iniziato la stagione balneare da molto tempo, le labbra sottili che non le sono mai piaciute e le ciglia lunghe che le piacciono molto. Accanto alla sua testa c'è una pila con maglietta e pantaloni, un paio di nike nere da corsa, la custodia nera di un Kindle. Il bagaglio leggero di un nuotatore solitario.

Un'inattesa impazienza la fa alzare e raggiungere lo scoglio. Per la prima volta da quando si conoscono è lei a coglierlo di sorpresa.

«Vieni anche tu da queste parti allora» dice con la voce appena più alta del dovuto.

Luca apre gli occhi, non la riconosce subito. Si infila gli occhiali da sole.

«Ciao tu».

È lei a sedersi sul suo quarto di asciugamano libero.

«Come mai al porticciolo?» gli chiede.

«Non so. È il più vicino. Poi è il posto giusto per venirci da soli, no? Niente spazio per asciugamani appaiati da queste parti».

Luca la guarda come se non ci fosse nulla di strano nella sua risposta. Viola ancora una volta si chiede qual è il confine che non bisogna superare, quanto è opportuno dare una sbirciatina in quel quadretto fatto di bambini biondissimi, casa delle vacanze sul litorale francese, barche a vela, telefonini nascosti, album da colorare, candeline e biciclette per il compleanno, garage da American Beauty? Ma ancora, nonostante tutto, emerge spontanea quella fragilissima empatia tra loro che annulla l'imbarazzo e le fa chiedere: «E i tuoi bambini, dove sono?».

«Sono con Anne. Al mare».

«Li raggiungi?».

«Non lo so. Credo di sì».

Entrambi sentono che sono vicinissimi e semi nudi, sfiorarsi sarebbe una cosa normale. Cercano qualcosa con cui tenere occupare le mani, ma non c'è nemmeno un sassolino da lanciare in acqua. Si sorridono.

«Mi hanno licenziato. Poi trasferito» le dice. E Viola si accorge che in tutti questi anni non ha mai saputo dove abita. «Non lontano da casa, saranno poco più di un centinaio di chilometri. Ma non abito più con loro, li vedo solo nel weekend».

«Deve essere strano».

«All'inizio sì. Ero abituato a pranzare con loro tutti i giorni, a portarli a scuola. Ma sai, i bambini si abituano a tutto molto in fretta».

«E tu stai bene?» gli chiede questa volta.

«Sì, abbastanza. Lavoro molto».

Si guardano per un attimo oltre il necessario e Viola capisce che è sincero a metà.

«E tu? Non so niente di te».

«Non c'è molto da sapere. Lavoro a Londra da qualche anno, per una radio».

«Londra? Bravissima. Sei sempre stata la persona più in gamba che conosco».

Ma loro si conoscono davvero? È la domanda stupida che farebbe un cattivo narratore di questa storia. Viola e Luca si muovono con sicurezza sul terreno scivoloso dell'animo dell'altro, si comprendono per istinto e per quel gioco del destino che a volte, pochissime e malamente, fa incontrare le anime che si somigliano. Una benedizione che può tramutarsi in una condanna, lo sanno benissimo. Hanno l'impressione che il caso li stia mettendo alla prova per vedere se davvero riusciranno a non farsene niente di tutte le possibilità che gli sono state concesse, se davvero dopo tutto questo tempo intendono tenacemente lasciare al vento questo loro fragile incontrarsi, la facilità con cui ora Viola appoggia la testa sulla spalla di Luca e lui con la mano le stringe la caviglia.

«Non hai più i capelli viola»

«No, niente più capelli viola»

Luca la guarda da dietro le ciglia lunghissime che danno al suo sguardo il potere di essere solo per lei.

«È stato tanto tempo fa. Quando Adam è venuto ad abitare con noi». dice Viola abbassando la voce. «Era un bambino educato e gentile, insopportabile. A tavola era tutto grazie-e-per-favore e mi stava appiccicato. Credo avesse paura di restare solo con mia madre. Ne era terrorizzato, ma questo l'ho capito dopo. Lo odiavo e basta. Gli legavo i polsi e lo lasciavo chiuso nella centralina del gas e me ne andavo in giro per conto mio. Quando tornavo era ancora lì ad aspettarmi, non aveva fiatato, non faceva mai la spia».

Luca le accarezza il polpaccio con un movimento d'onda che accompagna le parole, le fa uscire fluide come fosse una cosa normale.

«Dopo due mesi che era da noi si è ammalato. Credevano morisse. Stava in una stanza d'ospedale dove poteva entrare una sola persona al giorno. Papà aveva detto che era colpa mia, che Adam si era ammalato perché io lo trattavo male. Non mi hanno mai lasciato andare a trovarlo, non mi dicevano come stava. Allora mi sono ricordata che una volta al luna park avevamo visto lo spettacolo di una maga con i capelli viola e Adam era impazzito per lei. Così gli ho scritto una lettera, gli ho detto che mi ero trasformata in una maga con i super poteri e i capelli viola e l'avrei salvato. Ci abbiamo creduto tutti e due. Dopo una settimana era a casa».

«È per questo che tu credi al potere delle storie giusto?»

«Sì, forse sì».

«Ma ora non hai più i capelli viola».

«No».

«Adam?»

Viola annuisce.

«Mi dispiace».

Stanno zitti per un po'. «Non funziona sempre. Non puoi sempre cambiare le cose solo perché ti inventi una storiella. Non puoi manipolare il destino».

«Ne sei davvero sicura?»

No, Viola non è per niente sicura. Luca respira piano sopra la sua testa. Rimangono così in silenzio, aggrappati l'uno all'altro e con il cuore in gola. Il terrore della prossima mossa. A chi tocca andarsene per primo?

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