Alessio Boni interpreta Beethoven «L’ho scoperto tra le piastrelle»

Accomunati da una grande passione. Alessio Boni è un artista dotato di una straordinaria umiltà e di una grande passione per il suo lavoro, la stessa passione che ha sempre spinto Beethoven a continuare a comporre nonostante la perdita dell’udito. Boni torna a Trieste, al Rossetti, per due repliche, domani alle 19 e alle 21, con “Ludwig. La musica nel silenzio”. Lo spettacolo, scritto da Bianca Melasecchi, prodotto da AidaStudio e Michelangeli Editore, vedrà l’attore nei panni del compositore tedesco.
Come ha incontrato Beethoven nella sua vita?
«È stato un incontro bizzarro. Avevo quindici anni, facevo il piastrellista in un paese della provincia di Bergamo, non mi piaceva il mio lavoro, mi stava stretto anche il mio paese. Non potevo evadere, non ne avevo le possibilità, e evadevo in un modo strano. Quando ero a casa da solo prendevo due pacchi di gress 33x33, che usano i piastrellisti, mi costruivo un podio, e con un mestolo di legno dirigevo Coriolano ed Egmont di Beethoven. Mi ero comprato le cassette in edicola e le suonavo sul mio mangianastri bordeaux. Dirigevo circondato dalle piastrelle e uscivo sudato, in estasi anche se non capivo nulla perché non avevo familiarità con la musica. Poi ho scoperto l’uomo. L’unico musicista che è diventato sordo a soli trent’anni, nel pieno della composizione».
Come ce lo racconterete?
«Il testo parla dell’incongruenza assurda del fatto che la sordità avvicini Beethoven ancora di più ai messaggi di Dio tramite la natura. Con me ci sarà un grande pianista come Francesco Libetta che farà degli excursus musicali. Troverete l’uomo Beethoven e il suo dramma, anche con le donne, con le quali ha avuto delle difficoltà, attraverso molti aneddoti che non tutti conoscono. Si parlerà anche del suo rapporto con il padre ubriacone che lo costringeva a suonare anche di notte, per arrivare a capire chi era quest’uomo, con le sue gravità, le sue vicissitudini, le sue disillusioni. Quando il mondo intero lo acclamava, lui non lo sentiva».
Un anno dopo l’arrivo di suo figlio, le ha pubblicato “Mordere la nebbia” (Solferino). Come è nato questo libro?
«Mi avevano proposto in passato di scrivere ma tra teatro, cinema e televisione non ne avevo il tempo. Poi è arrivata la pandemia e io ho avuto Lorenzo. Questi due eventi, insieme, mi hanno portato a scrivere. Ero a casa con mio figlio, notavo come guardasse il mondo, scoprendolo per la prima volta. Si mordeva il labbro inferiore proprio come facevo io da piccolo. E mi sono ritrovato sulla mia vespa 50 sulle sponde del lago d’Iseo, sotto un salice piangente che fissavo la coltre di nebbia che mi impediva di vedere cosa ci fosse dall’altra parte. Volevo mordere quella nebbia, e lo ho fatto, entrando in polizia, andando in America, facendo l’animatore, finchè non ho visto uno spettacolo teatrale. Avevo ventun anni e da lì è partito tutto. Non è un romanzo, ma un racconto di quello che sono stati questi anni della mia vita. In un momento così complicato si deve mordere la nebbia per trovare la vita che fa per noi».
Che rapporto ha con la musica?
«La musica classica la ascolto da sempre, come l’opera. Al contempo non rinuncio a Bob Dylan, a Gaber, gli U2, gli Oasis».
La serie tv “La compagnia del cigno”, nella quale interpreta il maestro Marioni, parla di musica. Vi aspettavate questo successo?
«Quando quattro anni fa Ivan Cotroneo mi ha parlato del progetto mi sono detto che io per primo conoscevo molte persone che avevano frequentato il conservatorio. Dopo la prima serie le domande di iscrizione, a Milano, si sono triplicate. Sono tanti coloro che si sono riconosciuti in quella storia».
Cosa farà dopo?
«Sto per girare una docufiction sull’alpinista Walter Bonatti. Ho letto il copione e sono affascinato da quest’uomo famoso in tutto il mondo».
Premi, riconoscimenti e tanto affetto, si aspettava tutto questo?
«Per me il premio più grande è sempre stato il fatto di poter fare il mestiere che amo. Non mi aspetto mai nulla, vivo nel presente di quello che ho l’opportunità di fare«
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