Amare tutto si può? Letizia Pezzali e la passione tra chimica e istinto

C’è un’esplosione in città, causata da una fabbrica chimica. Questo è il motivo per cui Lucia e Francesca si rifugiano in una villa in collina, con i rispettivi figli, villa che è il cuore del romanzo “Amare tutto” (Einaudi, pagg. 216, euro 17) di Letizia Pezzali. All’inizio si potrebbe pensare a qualcosa che ha a che fare con una situazione d’emergenza, con risvolto boccaccesco, ma nulla si sviluppa in tal senso. Di fatto Pezzali è dentro la sua poetica, quella del suo precedente romanzo, “Lealtà”, anche lì il tema aveva a che fare con il desiderio e i suoi paradossali codici. Qui però l’autrice indaga di più il contesto famigliare, e lo fa sempre attraverso il tradimento (verso se stessi e verso gli altri). Se in “Lealtà” la formula d’accesso era la metafora (un parallelo tra l’analisi di mercato e quella sentimentale), in “Amare tutto” persiste forse una similitudine. Là fuori c’è stata un’esplosione, l’aria puzza di acido e veleno e non c’è molto da parlare, piuttosto mettere in atto un’azione di risanamento, fare in modo che tutto torni alla normalità. In fondo anche in collina c’è una sorta di esplosione, una delle due, Lucia, il personaggio che pare più pacato, più legato a certi valori famigliari, all’improvviso si innamora, di un amore fuori controllo. Lui si chiama Massimo, lavora nel supermercato del paese ed è laureato in storia, fa una vita solitaria, è misantropo, molto timido, strano, ha un fratello morto da anni, una famiglia con una trama oscura alle spalle. Eppure è in grado di suscitare l’esplosione introspettiva di Lucia, la consapevolezza che ciò che si ama non ha esattamente un percorso lineare, perché anche l’amore si impara, addirittura nei confronti dei figli.
Massimo è il primo uomo per cui Lucia non ha avuto bisogno di imparare, una passione istintiva, un amore di pelle che per tutto il romanzo sarà il perno del confronto: tra Lucia e Francesca, tra Lucia e una famiglia rassicurante, tra Lucia e i suoi figli. Perché anche la maternità è un percorso incluso nella possibilità o impossibilità di “amare tutto”, anzi in tal senso Pezzali fa un’analisi chimica dei sentimenti, indaga le parole dell’attaccamento e del distacco, fino all’eventualità di usare l’amore materno come alibi per la propria inadeguatezza. Insomma l’autrice resta perfettamente dentro la sua poetica, una voce che si personalizza nell’ideare ossimori, il contrasto delle scelte, il desiderio di essere più “animali” frenato dal buon senso, dalla ragione, ma anche dal pregiudizio.
Amare tutto si può? La narrazione, a quanto pare, lo permette, con un elemento nuovo rispetto ai precedenti lavori, un lieve tocco distopico in cui – come direbbe Raboni – si evoca la comunione dei vivi e dei morti. E ciò va d’accordo con l’originalità della struttura compositiva e della lingua di Pezzali, dove ogni parola non è casuale per dire che: «desiderare davvero, è l’unico obiettivo che importa sul serio nella vita». Un obiettivo audace, difficile, possibile in un mondo perfetto. Oppure così, come fanno i romanzieri, in un mondo altro, pur consapevoli di navigare a vista in un confine luminoso quanto oscuro che in fondo ha sempre a che fare con l’idea di “lealtà” – verso noi stessi o gli altri – ma anche con quella di libertà, che dentro la società si rivela immancabilmente ardita e tragica insieme. —
M.B.T.
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