Andrea Camilleri, l’intellettuale non organico fino alla fine continuò a reinventare se stesso

IL RICORDO
Francesco De Filippo, giornalista, scrittore, direttore della sede Ansa del Friuli Venezia Giulia, allievo e amico di Andrea Camilleri firma per il Piccolo questo ricordo, nel primo anniversario della morte dello scrittore. Ieri è uscito postumo, per volontà di Camilleri, l’ultimo libro dedicato alle indagini del commissario Montalbano, “Riccardino”, edito da Sellerio. Camilleri lo scrisse nel 2004 e lo riprese nel 2016, a 91 anni, apportandovi alcune modifiche, tant’è che la casa editrice pubblica anche un volume separato con entrambe le versioni e una nota di Salvatore Silvano Nigro.
FRANCESCO DE FILIPPO
Sì, io ho amato quest’uomo.
L’ho amato come si ama un padre, con l’esclusività che il discepolo vanta nei confronti del proprio maestro e con l’appagamento che si prova abbeverandosi a una fonte dopo ore di cammino.
Il limpido rigore morale e intellettuale, la ricca esperienza di vita e l’immensa cultura di Andrea Camilleri sono stati riferimento e impasto per un giovane giornalista come me appena sbarcato a Roma, perbene e tenace ma confuso e inquieto come tutti gli uomini che si sono fatti da soli.
Non certo un santo Nené Camilleri, e come tutti i grandi uomini estremamente concentrato su se stesso; ma, a differenza di tanti grandi uomini, sicuro di sé, incapace di invidia e generoso, sempre disponibile ad aiutare e incoraggiare tanti, senza tema di rivalità.
Ma questi sono aspetti noti del suo carattere. Così come quei tratti che hanno impedito all’uomo di trasformarsi in divo, in mito, e che ne hanno esaltato le peculiarità quotidiane facendone il ‘grande vecchio’ da amare, il padre o il nonno saggio che si vorrebbe in casa: le 60 sigarette al giorno, il pisolino dopo pranzo, la naturale e bonaria simpatia, la riconosciuta saggezza.
Ma c’è un rammarico che pungeva latentemente lui e più incisivamente me e pochi altri: quel perimetrare lo scrittore alla paternità di un personaggio di (straordinario, storico) successo come Montalbano, trascurando (quando in buona fede; offuscando quando proditoriamente) l’intellettuale impegnato, l’acuto osservatore dei tempi, il severo e imparziale commentatore della vita politica e suoi esponenti. Il raffinato scrittore che ha continuato a reinventarsi fino allo scoccare dei 93 anni e oltre.
Non è un distinguo velleitario o una valutazione “ingrata” nei confronti di tutti coloro che hanno amato lo scrittore o l’uomo (oppure entrambi) e che gli hanno tributato un successo senza precedenti nella storia dell’editoria italiana. È invece una riflessione il cui esito si riverbera nel futuro, che si ispessisce con il tempo e di cui dunque ho maggior consapevolezza oggi, a distanza di un anno dalla scomparsa di Andrea Camilleri. Qualcosa che, nell’ebbrezza del successo, nel travolgente moltiplicarsi di impegni, iniziative, richieste, si è evidenziato poco ma che oggi, all’attenuarsi dell’eccitazione e al rallentare della giostra mediatica, si rivela nella sua ampiezza.
Montalbano è un gioiello e il grande merito del suo autore è aver abbattuto lo steccato che in Italia divideva il ‘giallo’ dalla letteratura. Soltanto un grande scrittore dotato di fantasia fulgida e di grande maestria poteva far vivere un protagonista per così tanti episodi senza scivolare nello scontato, nello stucchevole ripetersi. E, paradossalmente, in termini di marketing la speculare serie televisiva a distanza di venti anni non solo non ha stancato il pubblico - bombardato dai “Montalbano sono” e dalle ilari ingenuità di Catarella - ma ha innescato un rafforzamento reciproco del prodotto editoriale e quello televisivo.
In una analisi superficiale e forse troppo eterogenea, nella cultura pop per individuare longevità e diffusione maggiori bisogna sconfinare nella musica, scomodare mostri sacri come i Rolling Stones, i Beatles, James Brown, Stevie Wonder. Non credo esistano altri scrittori che abbiano venduto 500 mila copie in media per ciascun libro pubblicato. E sono pochi quelli che, come Camilleri, ne hanno sfornato un centinaio, tradotti in decine di lingue.
Ma l’appagamento è un esito qualitativo, non quantitativo, scaturisce da un rapporto di grande equilibrio con se stessi. E lui di equilibrio ne aveva tanto da godere del successo restando lo stesso uomo entusiasta, semplice e filosoficamente distaccato che avevo ammirato quando era un ex raffinato regista teatrale, un affabile pensionato dalla memoria prodigiosa che per ore stava a raccontarmi di jazz, di politica, di arte, di letteratura fissando in me mete culturali che avrei progressivamente raggiunto negli anni. Ogni sera un rosario di incontri, di fatti, di segreti che sgranava con il tono affabulatorio che avrei ritrovato nei suoi libri.
Sono stato per questo un uomo molto fortunato.
Ma c’era il rammarico di trovarsi in un contesto che telluricamente portava a far coincidere l’uomo nella sua interezza a Montalbano, un perimetro ampio ma comunque stretto, dal quale rimaneva fuori il pensatore scomodo, l’intellettuale non organico. Lo scrittore singolo che, benché privo della copertura di una corporazione, tantomeno di un partito, non ha mai avuto paura di esporsi, interpretando l’intervento su un quotidiano o in televisione come il doveroso contributo a un dibattito “politico”. Non un atto di protagonismo o lo sfogatoio da social.
C’è il rammarico per chi gli è stato intorno senza capirlo, solo per rifulgere di luce riflessa e intestarsi virtù mai avute, come è destino di tanti grandi.
E per una critica sbrigativa, incline alla banalizzazione, che non ha notato, o ha appena intravisto, il primo libro in italiano scritto intorno ai novanta anni; o quelle altre opere che proseguivano una ricerca letteraria famelica, sperimentale quasi, sicuramente inedite rispetto alla produzione precedente.
Qualcuno ha capito, ha apprezzato e coraggiosamente ne ha scritto, ma c’è il rammarico perché nell’omologazione del ‘politically correct’ altri che hanno capito non hanno segnalato, disinnescando una forma di pensiero. Non rivoluzionaria, soltanto libera. Ma tant’è, non si sa mai.
Oltre al nostro fraterno amico Montalbano, è questo l’intellettuale e lo scrittore che manca da un anno. —
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