Anteprima del lockdown in una biosfera del ’91 sperimentata in Arizona

È un illuminante pezzo di storia dell’immaginario americano, ma anche del presente di tutti noi, “Spaceship Earth” del 40enne documentarista californiano Matt Wolff, presentato al Sundance e all’ultimo Trieste Science+Fiction. Il film ricostruisce, con interviste e filmati d’epoca, un’avventura reale oggi semidimenticata, ma molto istruttiva alla luce di ciò che stiamo vivendo. Nel 1991 otto persone passarono due anni in un lockdown volontario dentro una grande struttura che replicava l’ecosistema terrestre, chiamata “Biosfera 2”, costruita in Arizona. L’esperimento, immaginato allora per testare future colonie spaziali, sollevò dibattiti scientifici, registrò l’attenzione dei media, di affaristi come Steve Bannon, nonché le critiche di chi non vi vedeva che l’operato di una setta.
Il primo motivo d’interesse di questa avvincente testimonianza, sta naturalmente nell’incredibile attualità della situazione documentata. Vedendo oggi quegli otto “biosferiani” reclusi occuparsi di riti quotidiani, dalla cucina al giardino, tentando di convivere con spazi e socialità limitati, non possiamo che scrutare con curiosità quei nostri profetici e un po’ commoventi predecessori anni ’90, ciò che fanno e ciò che dicono. Pensata per la Luna o per Marte, questa “casa di vetro” anticiperà anche film come “The Truman Show” o format tv come il “Grande fratello”, ma si ispirava a sua volta a un film di fantascienza ecologista, “2002: la seconda odissea” (’72) di Douglas Trumbull.
L’altro aspetto intrigante riguarda il racconto della genesi del progetto, quando nel ’67 a San Francisco, nel clima della controcultura, si forma una comune di sognatori, dal teatrante John Allen al miliardario Ed Bass, che inseguono l’ancestrale urgenza, tutta americana, di creare nuove dimensioni spaziali vergini. Un esempio di impresa creativa tipica della Silicon Valley, come Apple, Facebook o Netflix oggi dominanti. —
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