Appello degli storici: «Cerchiamo memorie sulle stragi dei nazisti»

di Pietro Spirito Miran Karbi› vive a Orehek, una frazione nel comune di Postumia, in Slovenia, e ricorda molto bene suo nonno, Alojz Križaj, e il nipote, Drago Križaj. Allo scoppio della seconda...
Di Pietro Spirito

di Pietro Spirito

Miran Karbi› vive a Orehek, una frazione nel comune di Postumia, in Slovenia, e ricorda molto bene suo nonno, Alojz Križaj, e il nipote, Drago Križaj. Allo scoppio della seconda guerra mondiale i Križaj, racconta Karbi›, erano una famiglia benestante di Orehek, dove avevano un negozio, una trattoria, coltivavano campi di proprietà e gestivano un affittacamere. Per la sua intraprendenza «Alojz aveva avuto anche qualche onoreficenza dal fascismo», ricorda Karbi›. Ma la guerra sconvolse gli equilibri: il fratello di Alojz, Anton, finì in un campo di internamento italiano, e «poi venne deportato a Dachau e a Mauthausen, mentre la moglie e la figlia finirono a Ravensbruck». I nazisti, poi, non perdonarono alla famiglia di aver aiutato i partigiani entrati in paese: «Alojz e Drago - racconta ancora Karbi› - vennero arrestati insieme, mentre erano in casa; i cani abbaiarono ma nessuno fuggì». I nomi di Alojz e Drago (segnato come Carlo) Križaj sono nella lista dei 51 impiccati di via Ghega.

Anche Bojan Turk, classe 1943, pure lui di Postumia, ricorda che la sua famiglia allo scoppio della guerra viveva a Hrenovice, «vicino alla strada». I Turk, dice Bojan, «avevano un’azienda agricola, erano boscaioli e rifornivano di legname la birreria Dreher di Trieste». Nel marzo del 1944 i tedeschi entrarono in casa, portarono via «il padre, la figlia Maria e il figlio che a sedici anni faceva il maestro in una scuola partigiana; il fratello, Franz Turk, fu arrestato cinque giorni dopo, e portato anche lui al Coroneo; in via Ghega furono impiccati prima i maschi e poi le donne» (negli elenchi i nomi della famiglia Turk sono stati quasi tutti italianizzati in Turchi, ndr).

Queste di Miran Karbi› e Bojan Turk sono solo due testimonianze fra i parenti e discendenti delle vittime civili dei nazisti, raccolte oggi dall’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, che lancia un appello pubblico perché chiunque abbia ricordi legati a quei tragici eventi ne porti testimonianza.

Settantuno anni fa, durante l’occupazione nazista, nel solo mese di aprile 1944 furono trucidate a Trieste 122 persone per rappresaglia. Prelevati in gran parte sulla base di elenchi carcerari, i civili furono impiccati o fucilati senza alcun processo né pubblico annuncio.

La strage di via Ghega riporta alla data del 22 aprile, quando il palazzo Rittmeyer, divenuto Casa del soldato, ritrovo e mensa per la Wehrmacht, fu l’obiettivo di un attentato dinamitardo. Quel giorno Mekhti Husein Zade, detto Mikhajlo, partigiano russo di origine azerbajgiana inquadrato nelle file della resistenza jugoslava e destinato a entrare nell'empireo degli eroi dell'Unione Sovietica, all'ora di pranzo entrò nell'edificio del Soldatenheim, travestito da soldato tedesco, con una borsa piena di esplosivo. Assieme a lui c'era un giovane fiancheggiatore, chiamato Malish. I due si mischiarono con gli altri militari, raggiunsero la grande sala da pranzo riservata agli ufficiali e sedettero dove trovarono due posti liberi. Malish sfilò dalla spalla la pesante borsa e la depose per terra, sotto al tavolo. Subito dopo i camerieri fecero notare ai due ch. e la sala era riservata agli ufficiali, e che loro avrebbero dovuto trasferirsi al piano terra. I due falsi tedeschi si alzarono, fecero un po' di trambusto per sviare l'attenzione e abbandonarono la sala lasciando la borsa sotto al tavolo. Poco dopo l’ordigno esplose, uccidendo cinque militari tedeschi e una cuoca (ma il numero esatto dei morti non sembra accertato). Già dalla sera scattò la rappresaglia: dalle carceri di via Tigor, del Coroneo e dei Gesuiti, vennero prelevati 51 ostaggi civili, italiani, sloveni e croati. Furono impiccati lungo la scalinata, agli stipiti delle porte e delle finestre del palazzo di via Ghega. Tra loro c'erano anche madri di famiglia, e ragazze e ragazzi adolescenti o in giovanissima età. Le salme furono segretamente sepolte nel cimitero di Sant’Anna.

Meno di un mese prima, a seguito di un altro attentato nella sala cinematografica di Opicina, 71 ostaggi erano stati passati per le armi al poligono di tiro. Negli stessi giorni iniziava a funzionare il forno crematorio della Risiera di San Sabba. E nel mese di maggio le rappresaglie portarono ad altre esecuzioni, tra cui quella di undici ostaggi alla Stazione di Prosecco.

«La ricerca storica su tali stragi - spiegano le storiche Gloria Nemec e Anna Maria Vinci - continua sulle carte d'archivio, nella logica di chiarire molte zone d'ombra: chi ordinò e chi eseguì, chi e come compilò gli elenchi dei condannati, dove finirono i corpi». «Ma adesso - continuano le storiche - si tratta soprattutto di restituire identità a coloro che tuttora compaiono nella memoria pubblica come "gli impiccati" o "i fucilati": vogliamo far emergere i loro contesti di provenienza, dare una fisionomia alle loro famiglie che, ferite e deprivate di una loro componente avviarono le ricerche, rimanendo a lungo senza risposta». Famiglie che elaborarono il lutto nei suoi risvolti morali e materiali, e trasmisero in varie forme l'evento alle generazioni successive. «Per fare questo - dicono ancora Nemec e Vinci - non bastano le carte d'archivio, è necessaria la memoria presente e viva di coloro che ricevettero i racconti delle famiglie colpite; sebbene siano in gran parte scomparsi i testimoni che a Trieste vissero la guerra, crediamo che il lascito di quell'evento non sia andato perduto tra le seconde e terze generazioni».

Da qui l’appello pubblico per una raccolta sistematica di memorie. «Garantendo la scientificità dell'approccio e le forme di tutela relative alla privacy - afferma Gloria Nemec -, con questi "portatori di memorie", vorremmo dialogare: li invitiamo a collaborare a questa ricerca attraverso le loro narrazioni ed eventuale documentazione da archivi privati». Per quanto riguarda le vittime della rappresaglia di via Ghega l’elenco completo, oltre che in questa pagina, si trova sul sito dell’Istituto per la Storia del Movimento di liberazione del Fvg (www.irsml.eu), comprensivo dei luoghi di nascita e di residenza delle stesse vittime. L’indirizzo dell’Istituto è Salita di Gretta 38, 34136 Trieste, mail: irsml@irsml.eu, telefono 04044004. Alcune prime testimonianze sono già arrivate, ma il lavoro da fare è ancora tanto.

Il periodo dell’occupazione nazista di Trieste rimane uno dei più oscuri della recente storia della città. Nuovi studi, come il libro di Giorgio Liuzzi “Violenza e repressione nazista nel Litorale Adriatico 1943-1945” (Irsml), saggi narrativi come “Via San Nicolò 30. Traditori e traditi nella Trieste nazista” (Il Mulino) di Roberto Curci, e romanzi di successo come “Non luogo a procedere” di Claudio Magris (Garzanti) stanno rilanciando il dibattito, la ricerca e la riflessione inotrno a una memoria sulla quale per troppo tempo non si è saputo o voluto fare pienamente luce.

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