Avgust ‹ernigoj, il costruttivista eclettico che portò a Trieste i fermenti del Bauhaus

la recensione
Pittore, illustratore, scenografo, decoratore, graphic designer; un grande maestro, un autentico sperimentatore: questo fu Augusto (o Avgust) Černigoj. A lui, alla sua opera, è dedicata la ventiduesima monografia della collana d’arte della Fondazione CRTrieste, intitolata “Černigoj e le avanguardie della Mitteleuropa”, curata da Matteo Bonanomi, con la supervisione di Alessandro Del Puppo.
Si tratta di un volume ricco di testi, immagini e approfondimenti bibliografici, che ripercorre la storia dell’artista dai primi anni della sua formazione triestina, alla sua maturazione avvenuta in ambito internazionale, agli anni Trenta caratterizzati dal “ritorno all’ordine” e dall’impiego nelle decorazioni delle navi da crociera, fino agli ultimi quarant’anni di attività.
Nato a Trieste il 24 agosto del 1898 da genitori di origini slovene, Černigoj frequenta la Staatsgewerbeschule, la Scuola per Capi d’arte, dove segue i corsi di disegno e pittura di Giuseppe Torelli e Carlo Wostry.
Reclutato nel 1916 dall’esercito austro-ungarico, viene inviato prima a Gornja Radgona, poi a Škofja Loka e successivamente in Galizia.
Nel 1918 torna a Trieste dove trova lavoro al cantiere di San Marco come verniciatore di navi. Tra gli anni 1920-22 ricopre il ruolo di insegnante di disegno alla scuola media di Postumia. È in questo periodo che ha modo di confrontarsi con l’ambiente artistico e culturale sloveno, come testimoniano le sue prime prove grafiche e le sue illustrazioni di libri per bambini. Sempre in questi anni decide di conseguire l’abilitazione all’insegnamento di disegno e storia dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Bologna e di proseguire quindi gli studi all’Accademia di Belle Arti di Monaco di Baviera.
Più che i docenti dell’Accademia è l’ambiente artistico monacense a stimolare la curiosità e l’interesse dell’artista triestino il quale continua a mantenere i contatti con gli artisti e gli intellettuali sloveni, realizzando ad esempio diverse copertine per la rivista «Novi Rod», in cui già si ravvisano le nuove suggestioni derivate dallo Jugendstil e dall’espressionismo lirico.
Il salto decisivo sarà tuttavia quello che lo porterà a Weimar dove ha modo di seguire, come studente esterno, i corsi propedeutici della scuola del Bauhaus. Seppur tale esperienza si concentri in un tempo limitato, le lezioni di Kandinsky e di László Moholy-Nagy lasceranno il segno.
Nella monografia, a questo proposito, si ricordano le parole dello stesso Černigoj: “Il mio atteggiamento nei confronti della pittura e dell’arte è cambiato. Completamente cambiato, perché ogni cosa che ho visto, l’ho vista in una certa angolazione nel tempo e nello spazio. Questo era quella scuola”.
Nel ‘24 è Lubiana dove inizia a mettere a frutto gli insegnamenti del Bauhaus allestendo, nella palestra di una scuola, la sua “Prima mostra costruttivista”. L’anno successivo espone al Padiglione Jakopič una serie di opere volte a dimostrare la naturale evoluzione dall’impressionismo, all’espressionismo, al costruttivismo. Considerato politicamente sospetto, lascia Lubiana e ritorna a Trieste. Qui con Giorgio Carmelich ed Emilio Mario Dolfi fonda una scuola sul modello del Bauhaus e nel 1927 insieme a Giorgio Carmelich, Edvard Stepančič e Josip Vlah, esordisce con una Sala Costruttivista nell’ambito della Prima Esposizione del Sindacato fascista delle Belle Arti e del Circolo Artistico di Trieste. Collabora con il regista Ferdo Delak alla rivista «Tank» che accoglie le diverse voci dell’arte europea d’avanguardia: dal dadaismo al futurismo, al costruttivismo, al gruppo Zenit di Belgrado.
Si tratta senza dubbio del periodo più esaltante per l’artista anche per i nuovi contatti internazionali che vengono a instaurarsi in particolare con Berlino dove nell’autunno del ‘28 si tiene la mostra “Junge slovenische Kunst” con la partecipazione, tra gli altri, di Černigoj, Delak, Stepančič, cui darà conto la rivista «Der Sturm» in un numero speciale.
Ma se a Berlino l’avanguardia artistica viene ricercata, sostenuta e acclamata, così non accade a Trieste: le controverse reazioni alle tendenze avanguardiste, a un nuovo modo di concepire l’arte in ragione della sua funzione, della sua valenza etica e sociale, vengono ricostruite nel libro attraverso puntuali riscontri nella stampa dell’epoca, sia italiana che slovena.
Ampia è quindi la documentazione, anche fotografica, relativa alla fase degli anni Trenta, quando l’artista ritorna a una figurazione più tradizionale e lavora soprattutto come arredatore di interni di navi con lo studio Stuard, diretto dall’architetto Gustavo Pulitzer Finali.
L’ultimo capitolo è dedicato al periodo compreso tra il secondo dopoguerra e il 1985, anno della morte dell’artista. Ancora nuovi linguaggi e nuove tecniche si alternano nella sua produzione mentre insegna al liceo sloveno di Trieste; al momento della pensione, nel 1970, apre una scuola privata continuando così a trasmettere tutta la ricchezza della sua esperienza e della sua personalità. Suoi allievi sono stati Franco Vecchiet, Edvard Zajec, Klavdij Palčič ed Emanuela Marassi la quale racconterà come Černigoj le insegnò a “domare i materiali” e, soprattutto, che “nulla è impossibile”. —
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