Borg-McEnroe, una finale Wimbledon da leggenda
Dal 9 novembre il film di Pedersen, che analizza psicologia e personalità dei due campioni

ROMA. Borg e McEnroe? Solo due pieni di rabbia contro. Il primo non era affatto il tennista svedese di ghiaccio, ma da ragazzo aveva solo imparato a controllare quella rabbia a cui McEnroe dava libero sfogo sul campo. A parte questo, 'Borg McEnroe’ di Janus Metz Pedersen, passato alla Festa di Roma tra molti applausi e in sala dal 9 novembre, racconta con puntualità, ritmo, perfette ricostruzioni dei match e flash back, caratteri e vezzi dei due campioni di tennis alla vigilia della finale diventata poi leggenda: quella di Wimbledon 1980.
Da una parte c'è il ragazzo svedese (Sverrir Gudnason) che non sapeva perdere, assistito minuto per minuto dal suo allenatore-padre Stellan Skarsgård, e, dall'altra, l'irascibile e furioso McEnroe (Shia LaBeouf) che vive più di un complesso. Intanto quello verso Borg, l'imperatore del tennis e che aveva già vinto quattro Wimbledon di fila, e poi quello verso il pubblico che non lo ama affatto e lo conosce più per le racchette rotte sul campo che per le sue vittorie.
«Sì nel mio film c'è un esame psicologico dei due personaggi. Non poteva e non voleva essere un film solo sul tennis che, tra l'altro, conosco poco, mi interessava, al contrario, la condizione umana», dice Janus Metz Pedersen. Il regista ha anche cercato di contattare i due ex campioni di tennis protagonisti del suo film: «Per John McEnroe non c'è stato nulla da fare, ma Borg invece e stato spesso sul set anche perché, tra l'altro, suo figlio, Leo, promessa del tennis svedese, ha interpretato lui da ragazzo nel film».
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