Bridget Jones versione triestina con lo yoga trova anche l’amore

In libreria il nuovo romanzo “chick-lit” di Laura Schiavini edito da Newton Compton Un famiglia strampalata e una giovane donna moderna: amore e un filo di thriller
Di Mary Barbara Tolusso

Trieste si tinge di rosa. Con i colori del tramonto, appunto, i più gettonati in questioni d'amore. A dipingerla è Laura Schiavini con il romanzo "Tutta colpa dello yoga", in libreria per Newton Compton (pag. 256, euro 9,90). Il genere rientra nel cosiddetto chick-lit, letteralmente: letteratura per pollastrelle, sulla scia del celebre "Diario di Bridget Jones". E gli ingredienti ci sono tutti.

A muoverli ci pensa Mimì, la protagonista, naturalmente single, romantica e un po' goffa, non troppo però, la salva la verve ironica e soprattutto la caparbia ricerca dell'uomo ideale. Trieste è vista, in qualche modo, dall'alto, perché la famiglia di Mimì abita in Carso. Una genealogia atipica, non proprio pregna di scontrosa grazia, più leggiadra che aspra: la mamma non si dà alle pentole ma alla poesia, spesso è in preda ai versi rintanata nel suo studio. Il padre è un melomane, alleva galline nel cosiddetto "Maniero", di fatto una catapecchia in cui si confronta con i suoi amati polli, tutti dotati di un nome lirico: Carmen, Butterfly e così via. C'è anche un cane, non si chiama Ugo ma Foscolo, lirico pure lui. Insomma il quadro familiare è piuttosto divertente, tanto che c'è da chiedersi: ma chi potrà mai essere la figlia di due tipi così?

È Mimì, bella, appena laureata, con una tacca di senso pratico in più rispetto ai genitori, anche se afflitta da un unico e deleterio vizio: lo shopping. Comunque sia Mimì ha i piedi più piantati a terra di mamma e papà e per prima cosa, dopo gli studi, cerca lavoro. Un evento narrativo vicino alla realtà, che catturerà tutte le trentenni, almeno quelle afflitte da un senso di incertezza e precarietà. Ma il genere chick-lit non prevede un esubero di realismo, a meno che non sia sostenuto dalla fiaba.

Schiavini lo sa, ha alle spalle il best seller "A qualcuno piace dolce", sempre per Newton, in netta opposizione alle "Sfumature di grigio". E anche qui, il nostro Enrico, bello, ricco e arrogante, non è tuttavia incline a fruste e manette. Casomai appartiene più al genere "alle donne piace stronzo". Insomma è un tipo che ti invita a un ballo e ti pianta in asso nel mezzo della festa. Oppure si perde in telefonate chilometriche lasciandoti in attesa dentro il letto. Uno così, diciamocelo, merita il foglio di via senza ritorno. E invece no. La nostra Mimì, fresca di studi psicologici, è caparbia, soprattutto determinata a trovare l'amore anche se, va detto, regge bene le cafonate di Enrico perché pensa di essere innamorata di un altro: l'istruttore di yoga.

Così il plot passa dal rosa al giallo, perché infine emergono curiosi legami tra il pacifico maestro e l'arrogante imprenditore. Intanto Mimì lavora per Enrico, prima ancora di conoscerlo riesce a ottenere un contratto in una delle imprese del nostro. Nello specifico in un'azienda che si occupa di prestiti e lei, cresciuta tra poesie e opere liriche, si trova a interpretare l'imbarazzante ruolo della strozzina. Un disastro. Tanto che ci rimetterà di tasca sua, senza contare le terribili colleghe pronte a farla fuori al primo sbaglio, soprattutto quando si accorgono che il capo ha un debole per la nuova assunta. Ma ci sono diversi misteri e diversi caratteri, è un romanzo corale con parecchi personaggi e un pizzico di esoterismo.

Trieste fa da sfondo, dal Carso al mare, passando attraverso Piazza Unità. E sulle quinte emerge una città strana, vista così, nella pura ideazione di un paesaggio, per nulla simbolica, come fosse una bella donna con cui abbiamo un appuntamento. Ci immaginiamo quindi il languido ballo viennese che si tiene al Circolo Ufficiali e le giovani ragazze di un tempo che, come ci informa speditamente l'autrice, erano più emancipate rispetto ad altri luoghi. Più che altro però Trieste è zona di passaggio, zona di sosta e partenza per i protagonisti, c'è chi va e chi ritorna e sull'idea del "ritorno" è costruita buona parte della trama. L'happy end si misura nel genere, non è tanto la conquista dell'amato, quanto la maggior consapevolezza di sé. In fondo quello di Mimì è un percorso anche ironico, non siamo proprio di fronte alla giovane donna divorata dal romanticismo e gli attributi alla Austen, ovvero quelli di un'eroina energica e grintosa, attenuano i comodi cifrari zuccherati.

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