Cani, gatti, topi e nazisti nacque nel Terzo Reich la protezione degli animali

La studiosa triestina Martina Pluda pubblica un saggio che indaga le normative emanate nella Germania di Hitler a tutela dell’ambiente e contro la vivisezione  

l’intervista



Una triestina a Vienna. Bionda con gli occhi azzurri, sottile, dall’aspetto mitteleuropeo, Martina Pluda, classe 1989, vive da tempo nella capitale austriaca. Ama gli animali e con il suo lavoro si sta impegnando per aumentare la consapevolezza delle istituzioni, delle multinazionali e dei singoli al fine di migliorare la protezione legale e la vita degli animali. Sul tema ha scritto un libro, “Animal Law in the Third Reich”, in cui, traendo inizialmente spunto dalla sua tesi di laurea in Giurisprudenza all'Università di Barcellona, offre un’approfondita e interessante analisi sulle leggi riguardanti il benessere e la protezione degli animali e la conservazione della natura, promulgate in Germania dal nazionalsocialismo. Aspetti introdotti nel volume da un breve excursus storico sui principali eventi che portarono Hitler al potere, osservati, in modo imparziale, da un punto di vista legale nel loro contesto sociopolitico e storico. Il volume è edito in inglese dal Servizio pubblicazioni dell'Università autonoma di Barcellona e si acquista in formato cartaceo o eBook sulla pagina dell’editore o su Amazon e Google Books.

Da cosa deriva la sua passione per gli animali?

«Sono cresciuta con cani, gatti e cavalli - risponde Martina Pluda -, poi a 12, 13 anni ho fatto un anno di scuola in Kenya, dove sono nati l’amore per la natura selvaggia e l’idea di conservare e proteggere questi ambienti unici. Ho quindi deciso di indirizzarmi verso un ambito giuridico e all’epoca avevo scelto diritto ambientale e conservazione delle specie. Mi chiedevo perché queste erano in via d’estinzione e ho scoperto tutti i problemi legati all’allevamento industriale e al consumo di carne, una delle principali fonti dell’inquinamento globale con emissione di CO2 e uso di risorse quali acqua e terreni e della distruzione di habitat naturali e di specie. L’80 per 100 della foresta amazzonica viene per esempio distrutta per far spazio all’allevamento intensivo di mucche e a coltivazioni per alimentarle. Ho visto anche come trattano in modo veramente barbarico gli animali negli allevamenti intensivi e ho deciso perciò di approfondire il diritto animale e la situazione del singolo individuo e non dell’intera specie».

Com’è nata l’idea del libro?

«Studiando in Spagna ho appreso che nella Germania nazista erano state emanate le prime leggi di protezione animale e ambientale a livello europeo e ho voluto analizzare meglio l’argomento, interessante e poco studiato, scoprendo con sconcerto che i nazisti, mentre commettevano atrocità contro gli umani, erano ben disposti verso gli animali. Un paradosso pazzesco che ho voluto approfondire. Le tesi di master più valide sono state pubblicate dall’Università in una nuova collana di libri, di cui il mio è il primo».

Quali sono la tesi del suo libro e le conclusioni cui perviene?

«Volevo comparare le leggi in tema del periodo nazista a quelle in vigore oggi in Germania, Austria ed Europa: quelle del Terzo Reich furono più progressiste. Poi mi sono chiesta il motivo di queste regole, emanate da un regime che mandava nei lager milioni di persone e faceva terribili esperimenti con gli esseri umani. Ci sono in realtà moltissimi parallelismi e spiegazioni in tal senso. Per quel che riguarda per esempio la sperimentazione animale, allora la maggior parte degli scienziati era ebrea e quindi nelle università si praticava la vivisezione; nel ’33 però i nazisti la vietarono, risultando alleati degli animali da laboratorio contro gli scienziati ebrei. All’epoca uscirono infatti sul tema anche diverse caricature...La conclusione è che sulla carta c’erano leggi molto progressiste ma, inserita nel contesto, la protezione animale è stata motivo di propaganda, che presentava i nazisti magnanimi e amanti della natura e degli animali con una manipolazione politica dell’argomento senza precedenti».

Nel libro afferma che ci sono ragioni di quest’atteggiamento che affondano nel romanticismo tedesco e nel rifiuto dell’antropocentrismo…

«Sì, per esempio il forte link tra i popoli tedeschi e le foreste primordiali, tra la natura indomabile e l’uomo che non riesce a dominarla, descritta anche nelle saghe, e una forte connessione con la terra rappresentano parallelismi collegati al romanticismo e, di conseguenza, la necessità di proteggere il proprio suolo dall’invasione dello straniero».

Qual era all’epoca l’atteggiamento degli ebrei verso gli animali?

«Il rito ebraico prevede che un animale debba essere cosciente quando viene sgozzato perché c’è la credenza che lo spirito passi attraverso il sangue, però i nazisti all’epoca vietarono la macellazione senza lo stordimento e quindi indirettamente anche la macellazione kosher. Nei confronti dell’animale è giusto, se però vi contrapponi il diritto a professare la propria religione, i due interessi contrastano e, all’epoca, tali provvedimenti attaccavano in qualche modo la cultura ebraica. Il fatto però che rimasero in vigore fino al 1972, dimostra che erano validi. Poi sono stati attualizzati per le mutate tecnologie e le più ingenti quantità di carne che consumiamo oggi rispetto ad allora». —

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