Carlo Marchesetti, il paletnologo triestino che strappava la storia dal grembo della terra

TRESTE Paletnologo, oltre che paleontologo. Carlo Marchesetti (nato a Trieste il 17 gennaio 1850 e mortovi il 1° aprile 1926) è il tipico scienziato che va oltre gli steccati del sapere - attitudine in fondo diffusa all’epoca - e con passione si misura in discipline diverse. Botanica, geologia, zoologia e, appunto, paleontologia e paletnologia: ovvero archeologia preistorica. E proprio occupandosi di archeologia preistorica, Marchesetti, a cavallo fra il XIX e il XX secolo, riesce a far tornare alla luce la nostra storia primitiva, «i cui documenti non si trovano in nessun archivio ma devono venir strappati dal grembo della terra».
Grotte, castellieri e necropoli sono infatti il teatro dei suo scavi, delle sue indagini, del suo lavoro che descrive così: «Come il geologo che da poche ossa frammentate e da qualche impronta appena percettibile deve ricomporre gli animali e le piante, così il paletnologo è spesso costretto da pochi avanzi dell’uomo e delle sue industrie a ricostruire stentamente e con lungo lavorio la storia smarrita del nostro passato» (da “I castellieri preistorici di Trieste e della Regione Giulia” del Dr Carlo Marchesetti, 1903).
Ma il suo primo amore è la botanica, campo in cui manifesta un interesse precoce che coltiva nel tempo. Ha diciotto anni quando, nel 1868, conosce Muzio de Tommasini e sotto la guida dell’anziano maestro inizia a condurre numerose esplorazioni botaniche e naturalistiche raccogliendo e classificando la flora di Trieste, Istria, Dalmazia e delle Alpi Giulie. Anche quando è all’università (si iscrive nel 1869 e si laurea nel 1874), Marchesetti a Vienna non si limita a seguire i corsi di medicina, ma frequenta lezioni di mineralogia, chimica, fisica, zoologia e botanica. E continua a raccogliere campioni floreali. L'interesse per le scienze naturali è tale da distoglierlo dalla carriera medica. Marchesetti viaggia, in Italia e non solo.
E proprio durante un viaggio in India scopre una foresta pietrificata che segna l’inizio del suo interesse per la paletnologia. È il 1875. L’anno dopo, a 26 anni, diventa direttore del Museo civico di storia naturale di Trieste, allora Civico Museo Ferdinando Massimiliano in onore dell’arciduca d’Austria (lo dirigerà fino al 1921) e di lì a poco inizia a condurre in modo sistematico indagini d'archeologia preistorica e protostorica locale, contribuendo allo sviluppo di queste ricerche nelle regioni del Litorale austriaco. È il 1883 quando avvia le ricerche sul colle della Chiusa, a Cattinara. Marchesetti si avventura sui prati sassosi dell’altipiano carsico, sulle alture battute dal vento, spinto dal suo interesse per i villaggi fortificati che sono stati la sede «primitiva» dell’antica Tergeste.
«Sebbene finora assai poco studiati - scrive - hanno diritto a tutta la nostra attenzione, contenendo documenti di grande importanza per ricostruire la storia di epoche lontanissime». Del resto, secondo la natura del paese che sceglievamo a nostra dimora, abbiamo dovuto adattare le nostre costruzioni: e allora palafitte dove c’erano laghi, mentre «ove come da noi la regione era montuosa, si presceglievano le vette emergenti cingendole di robuste mura. E su questi monti fortificati, su questi castellieri, i nostri progenitori trassero la loro esistenza per migliaia e migliaia di anni: le generazioni si succedettero alle generazioni depositando le loro reliquie nel grembo della terra, quasi in sacro volume, scritto a caratteri indelebili che noi appena ora cominciamo a sfogliare e comprendere».
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