Casty: «Che sogno, disegno Topolino»

A Lucca Comics and Games una mostra rende omaggio all’autore goriziano
Il disegnatore goriziano Casty
Il disegnatore goriziano Casty

TRIESTE Quando disegna Topolino non ha rivali. A Lucca Comics and Games ne sono convinti. Tanto da dedicare a Andrea Castellan, in arte Casty, una grande mostra intitolata “Il mondo Disney tra tradizione e innovazione”. Resterà aperta nel Palazzo Ducale della città toscana fino al primo novembre, giorno in cui si concluderà la rassegna che viene inaugurata venerdì.

Goriziano con casa vicino a Palmanova, Casty ha iniziato a disegnare i personaggi Disney quando aveva dieci anni. Da allora ha attraversato il mondo dei fumetti all’italiana ispirandosi a due grandi maestri come Floyd Gottfredson e Romano Scarpa.

«Questa mostra è per me una grandissima soddisfazione - spiega Casty - che arriva dopo più di dieci anni di lavoro sui personaggi Disney. Fin dall’inizio ho cercato di concentrarmi soprattutto su Topolino, di valorizzarlo e riportarlo a quello che era il personaggio originale, il Mickey delle vecchie storie. Seguendo questa strada non potevo non ispirarmi alla lezione di maestri come Gottfredson e Scarpa, che tra gli anni ’50 e ’60 hanno lasciato un segno forte. Il fatto che molti abbiano apprezzato questo tipo di lavoro è un grande incoraggiamento».

 

Alcune opere di Casty
Alcune opere di Casty

 

All’inizio, però, sognava i paperi?

«Avevo dieci anni. Sui quaderni a righe disegnavo storie, le coloravo, creavo le copertine. Nelle mie avventure comparivano soltanto Paperino, Paperone, Rockerduck e tutta la banda dei paperi. Facevo un’eccezione solo per Cip e Cipo. Topolino non mi interessava perché preferivo i racconti brillanti. Non i gialli o la fantascienza»

Cosa faceva di quegli albi fatti in casa?

«Li vendevo ai compagni di classe. Quando finivo un albo lo portavo a scuola e chiedevo chi volesse leggerla. Loro lo compravano e se lo portavano a casa. Il problema è che, qualche volta, mi stancavo di una storia e la lasciavo a metà. Scontentando, ovviamente, i miei lettori».

Rubava tempo allo studio, ai compiti?

«No, durante l’anno scolastico non riuscivo a produrre molte storie. Così, avevo imparato ad approfittare delle vacanze estive: ritornavo a scuola con una bella scorta».

 

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Non ha mai smesso di disegnare?

«No, ho continuato a fare fumetti per conto mio passando ai robot giapponesi, che mi piacevano un sacco. Ma a un certo punto diventi grande, devi trovare lavoro, non hai più tempo per quelle che la gente considera “sciocchezze”».

Il lavoro l’ha trovato?

«Dopo la Scuola d’arte a Udine ho assolto i miei doveri con lo Stato, facendo il servizio militare. E sono entrato in fabbrica, prima di passare in uno studio di grafica pubblicitaria. Quando mi sono un po’ sistemato dal punto di vista economico, ho deciso di non rinunciare al vecchio sogno. Volevo fare fumetti. Come potevo entrare in contatto con le case editrici? Mandando in visione i miei lavoro».

Sognava la Disney?

«In quel momento, no. I miei gusti erano molto cambiati. A 25 anni volevo scrivere storie di fantascienza, horror. Mi sarebbe piaciuto lavorare per Sergio Bonelli, magari entrare nello staff di Dylan Dog. Invece mi ha risposto Silver con la casa editrice Acme. Negli anni ’90 stava andando benissimo con Lupo Alberto. Al contrario, Cattivik aveva bisogno di un gruppo di autori che lo spingesse un po’».

Così le è toccato Cattivik?

«Sì, e mi ha spiazzato un po’. Mi sentivo pronto per muovermi tra mostri e astronavi, invece Silver mi chiedeva racconti ironici per quello sfortunato genietto del male. Per fortuna le idee venivano di getto, non facevo fatica. Mi sono dedicato a Cattivik per più di dieci anni, dal 1993 al 2004. E dal 1999 ho iniziato a lavorare anche per Lupo Alberto».

Però, a quel punto, preferiva Topolino...

«Avevo più di 30 anni, non volevo invecchiare con Cattivik. Sognavo di scrivere qualcosa per un pubblico più vasto. Disegnare un personaggio come Topolino, che parla a tutto il mondo. Così, ho spedito un pacco di soggetti alla Disney. Mi hanno risposto in fretta, dopo un paio di settimane»

Ha mollato Silver?

«Macchè. Ero impegnato sui tre fronti. Dovevo dividermi tra il pestifero Cattivik, Lupo Alberto satirico ma morbido, e Topolino che mi faceva diventare buonissimo».

All’inizio, solo sceneggiatore?

«Sì, nel 2003, ho debuttato scrivendo la storia “Topolino e i mostri idrofili”. Da quel momento, per due anni, mi sono messo a studiare il personaggio Mickey Mouse per riuscire a disegnarlo bene. Abbandonati Cattivik e Lupo Alberto, nel 2005 ho scritto e disegnato “Topolino e le macchine ribelli”. Se guardo oggi quelle tavole ritrovo tutta l’angoscia che avevo nel confrontarmi con gente bravissima come Giorgio Cavazzano».

Le piacerebbe lanciare un personaggio tutto suo?

«Non c’è tanto spazio per personaggi nuovi. Serve qualcosa che venda bene, come Rat-Man di Leo Ortolani. Oppure punti tutto sul web, come Sio con Scottecs, però devi avere un lavoro alle spalle che ti permetta di sopravvivere».

Vivere in Friuli Venezia Giulia: un handicap?

«Vent’anni fa poteva essere un handicap. Oggi c’è internet che ha annullato tanti problemi. Per dire, una volta dovevo mandare le fotocopie dello storyboard per posta, oggi si fa in diretta».

Nuove storie in arrivo?

«Ho appena finito quella di Natale. Si intitola “Topolino e l’elettromistero di Natalimburgo”. una miscela di buoni sentimenti, magia natalizia e fantascienza».

alemezlo

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